SONG OF THE WEEK: Absolute Beginners (David Bowie)
Questa settimana mi è capitato di pensare molto alla mia fortuna. Sì, perché entrare nel mondo del lavoro durante la nascita dell’internet commerciale è stato come trovare un campo da gioco completamente nuovo, dove le regole non erano ancora state scritte. Ricordo ancora quando, poco più che ventenne, mi sono ritrovato a gestire progetti digitali semplicemente perché… beh, non c’era nessun altro che sapesse farlo! L’esperienza si costruiva sul campo, necessariamente, e gli errori erano visti come parte del processo di apprendimento.
Ed oggi? Beh quello che una volta era il terreno di gioco dei giovani – i compiti entry level, la famigerata “gavetta” – sta rapidamente diventando il territorio dell’AI per eccellenza.
Ma come si fa esperienza quando l’AI può fare in 10 secondi quello che una volta richiedeva 10 ore di lavoro di un junior?
Quando l’apprendista è un algoritmo
I numeri sono chiari e, per certi versi, inquietanti. Il 64% dei leader d’azienda prevede che i ruoli entry-level si trasformeranno radicalmente nei prossimi tre anni, focalizzandosi in particolare dalla creazione alla revisione di contenuti prodotti dall’AI.
Pensa ad esempio al settore bancario, dove tradizionalmente i giovani analisti iniziavano la loro carriera facendo analisi di mercato e preparando presentazioni. Oggi, le banche stanno valutando di ridurre fino a due terzi le loro classi di analisti junior. Non è fantascienza: è già realtà in molte istituzioni finanziarie anche in Italia.
Quello che sta succedendo è una vera e propria rivoluzione del concetto di “primo lavoro”. Le attività che tradizionalmente permettevano ai giovani di imparare il mestiere – dalla ricerca dati all’analisi di base, dalla preparazione di report alla stesura di documenti – stanno diventando dominio dell’intelligenza artificiale. E non parliamo solo del settore finanziario: settori come l’ICT, la comunicazione, la pubblica amministrazione e persino la sanità vedranno trasformazioni significative dei ruoli entry level.
Ma come gestire il necessario processo di on-boarding su competenze e processi in un mondo così ricco di automazione?
Reinventare l’apprendimento
Mi ha fatto riflettere molto una recente conversazione con un collega che gestisce un team di neoassunti. “Giuseppe“, mi ha detto, “questi ragazzi non hanno mai fatto un’analisi di mercato da zero, l’AI gli dà già tutto pronto“. E ha ragione; è come se stessimo dando a un apprendista chef tutti gli ingredienti già tagliati e dosati che è una figata certo, ma come farà a sviluppare quell’istinto che viene solo dall’esperienza?
La questione è cruciale. Non si tratta solo di imparare a usare nuovi strumenti, ma di sviluppare un approccio completamente diverso all’apprendimento. Prendiamo il settore legale, per esempio: una volta i giovani avvocati imparavano facendo ricerche giuridiche e redigendo documenti di base. Oggi l’AI può fare tutto questo in pochi secondi, ma dov’è lo spazio per la gavetta?
Dobbiamo allora provare ad immaginare un nuovo modello di apprendimento ibrido, dove l’AI diventa parte del processo formativo. Come?
È un pò come nella Formula 1 moderna: oggi non basta più saper guidare veloce, devi capire come interpretare una quantità enorme di dati in tempo reale, come gestire sistemi sempre più sofisticati, come prendere decisioni strategiche basate su simulazioni complesse. Il pilota non è diventato meno importante, ha semplicemente trasformato il suo ruolo.
Allo stesso modo, i giovani professionisti oggi devono imparare non solo a “fare”, ma a orchestrare e dirigere processi sempre più complessi, dove l’AI è solo uno degli strumenti a disposizione.
Ma quindi quali competenze diventano cruciali?
Le nuove competenze oltre la tecnica
Mentre le competenze tecniche diventano sempre più automatizzate, emergono nuove abilità cruciali. Come detto non basta più saper fare; bisogna saper pensare in modo diverso.
Di sicuro c’è un grande focus sulla capacità di collaborare in team (perché l’AI non sa gestire le dinamiche umane), flessibilità e adattabilità (perché il cambiamento è l’unica costante), problem solving creativo (perché l’AI può trovare soluzioni solo basate su pattern esistenti) e pensiero critico (perché qualcuno deve verificare e migliorare l’output dell’AI).
Ma c’è di più. Una ricerca Capgemini evidenzia che il 52% dei leader si aspetta che i ruoli junior acquisiscano maggiore autonomia decisionale. E questo mi pare un paradosso interessante: mentre l’AI si occupa delle attività ripetitive, ai giovani professionisti verrà sempre di più richiesto di sviluppare, rapidamente, capacità decisionali più sofisticate fin dall’inizio.
E se ripenso alla mia storia personale/professionale … potrebbe essere una grande opportunità di crescita.
Strategie per sopravvivere
Questo cambiamento radicale nei ruoli entry-level non significa che non ci siano opportunità. Al contrario; ecco alcune strategie concrete che emergono dai dati e dall’esperienza:
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Puntare sulla “AI-fluency”: non basta saper usare l’AI, bisogna saperla dirigere. Come evidenzia uno studio EY, figure come gli AI engineer vedranno una crescita del 8,7% nel settore Comunicazione e Media. Ma non è l’unico settore: i data scientist (+9,1% nel Banking), gli esperti di sicurezza dati (+12,1% nell’ICT) e gli specialisti in cybersecurity (+12,5% nel Banking) sono tutti ruoli in forte crescita.
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Sviluppare un “portfolio ibrido”: l’ideale sarà sempre di più combinare competenze tecniche con soft skills perchè l’intelligenza artificiale faciliterà molte operazioni, certo, ma non sostituirà l’intervento umano ed i ruoli di supervisione e verifica saranno sempre più centrali in questo nuovo mondo.
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Scegliere le aziende giuste: chi ha compreso questo cambiamento ha compreso anche l’importanza di programmi di formazione per le persone e strutture aziendali dedicate. Bisogna cercare e selezionare quelle organizzazioni che investono sia in tecnologia che nelle persone.
La chiave insomma è posizionarsi come “augmented professional” fin dall’inizio: non competere con l’AI, ma usarla come strumento per amplificare le proprie capacità ad esempio per gestire i controlli di routine, mentre per le decisioni strategiche prendersi il tempo, e la responsabilità, per fare le scelte importanti.
E adesso?
Tornando alla domanda da cui siamo partiti, se l’AI fa tutto il lavoro di base, come fanno i giovani a sviluppare quel “senso del mestiere” che viene solo dall’esperienza diretta? Beh da quello che vedo ci sono tre possibili vie per reinventare l’apprendimento nell’era dell’AI:
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Il modello “Shadow AI”: invece di far fare direttamente il lavoro all’AI, i giovani talenti potrebbero prima provare a svolgere il compito manualmente, poi confrontare il loro output con quello dell’AI, analizzando le differenze e imparando dai pattern che emergono. È un po’ come avere un maestro che ti mostra la soluzione solo dopo che ci hai provato tu. Questo approccio permetterebbe di mantenere l’apprendimento esperienziale pur sfruttando l’AI come strumento di verifica e miglioramento.
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L’apprendimento rovesciato: invece di partire dal basso, si potrebbe iniziare dall’alto. I giovani talenti potrebbero essere subito coinvolti in decisioni strategiche, usando l’AI come supporto per l’analisi dei dati e la preparazione dei materiali. È quello che sta emergendo con forza nel settore legale, dove i giovani avvocati, invece di partire dalla ricerca documentale (ora gestita dall’AI), iniziano subito a lavorare sulla strategia processuale, con l’AI che fornisce il supporto informativo necessario.
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Il modello “AI Lab”: creare dei veri e propri laboratori dove i giovani talenti imparano prima a costruire e addestrare i sistemi di AI per il loro settore, poi a utilizzarli e infine a supervisionarli. È quello che stanno facendo alcune banche d’investimento, dove i nuovi analisti non solo usano l’AI, ma contribuiscono a migliorarla, sviluppando così una comprensione profonda sia del business che della tecnologia.
La verità è che stiamo navigando in acque inesplorate. L’unica cosa da non fare è avere paura del cambiamento; come quando agli inizi del ‘900 le calcolatrici sostituirono i contabili che facevano i conti a mano, non stiamo perdendo competenze, ma liberando il potenziale umano per attività più strategiche e creative.
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe