Chi sta guidando l'A(i)utobus? (#96)


SONG OF THE WEEK: Drive my car – The Beatles

In questi giorni sto per chiudere il contratto di leasing della mia Tesla e, dopo le ultime uscite di Elon Musk, non ho intenzione di proseguire. Non tanto per quello che ha detto (anche se, diciamocelo, ultimamente sembra più concentrato su dominare il mondo stile Dr.Evil che sulle auto), ma perché mi ha fatto riflettere su una questione più profonda: se l’auto si guida da sola, chi è responsabile se succede qualcosa? E se passiamo dal parlare di auto a parlare invece di autobus?

È una strana sensazione quella di sentirsi contemporaneamente al volante e sul sedile del passeggero e, ammettiamolo, un po’ ci destabilizza tutti. Come quando usi ChatGPT per scrivere una mail importante e poi passi il doppio del tempo a controllarla, perché sì, ti fidi, ma non troppo. O quando attivi l’autopilot sulla Tesla (ops, lo facevo fino a ieri) ma tieni comunque le mani sul volante, pronto a riprendere il controllo.

La paura del “pilota automatico”

Ho partecipato recentemente a una serie di conversazioni virtuali con esperti di AI e imprenditori – e credetemi, il livello di ansia è alto su tutti i livelli. C’è chi vede l’AI come la fine del mondo del lavoro come lo conosciamo, e chi invece la considera la più grande opportunità dai tempi di Internet. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Ma la conclusione più interessante è che chi resta fermo alla fermata dell’autobus aspettando di “vedere come va a finire”, rischia di perdere molto più di una corsa.

Mi ricorda tantissimo quello che successe nel 2007 quando iniziai a usare l’iPhone. I miei colleghi mi prendevano in giro: “Ma dai Giuseppe, è un giocattolo, il Blackberry è molto più professionale!”. Alcuni di loro lavoravano per Nokia e… beh, sappiamo tutti come è andata a finire. La differenza è che questa volta la trasformazione sarà molto più rapida e profonda.

Non stiamo parlando solo di come comunichiamo, ma di come pensiamo, decidiamo e creiamo.

La super-patente del futuro

La risposta che sta emergendo da queste conversazioni è quella che i più chiamano “super agency” (sì, lo so, l’ennesimo termine in inglese, ma questa volta ha davvero senso!). È un concetto che va ben oltre il semplice “imparare a usare l’AI“. Si tratta di diventare dei veri e propri “istruttori di guida” del futuro digitale.

Pensateci un attimo: quando imparate a guidare, la prima cosa che vi dice l’istruttore non è come premere l’acceleratore, ma come e quando usare i freni. Ed è esattamente quello che dobbiamo fare con l’AI. Non si tratta solo di capire cosa può fare per noi, ma soprattutto di comprendere quando è meglio che non faccia nulla. È come avere un co-pilota molto entusiasta ma a volte un po’ troppo sicuro di sé: bisogna sapere quando dargli retta e quando invece è meglio fidarsi del proprio istinto.

Nelle aziende con cui lavoro ho visto emergere tre approcci molto diversi:

  1. I “paurosi del volante”: sono quelli che vedono l’AI come una minaccia esistenziale e preferiscono restare fermi. Come quell’amico che a 50 anni ancora non ha la patente e dipende sempre dagli altri per spostarsi. Li riconosci subito perché a ogni riunione ripetono “sì, ma non possiamo fidarci di questi sistemi” mentre i loro competitor stanno già usando l’AI per innovare e crescere.

  2. I “piloti spericolati”: sono quelli che delegano tutto all’AI senza pensarci due volte. Come chi preme l’acceleratore senza guardare il semaforo. Li ho visti implementare chatbot che hanno fatto scappare i clienti, o sistemi di recruitment completamente automatizzati che hanno perso talenti incredibili. La loro filosofia è “se c’è un’API per farlo, facciamolo”, senza chiedersi se sia davvero la cosa giusta.

  3. Gli “istruttori intelligenti”: questi sono i più rari, ma anche i più efficaci. Sono quelli che hanno capito che l’AI è come un allievo molto promettente: ha un potenziale enorme, ma ha bisogno di una guida umana per dare il meglio. Non si limitano a implementare soluzioni, ma creano veri e propri programmi di “AI literacy” nelle loro organizzazioni.

Le fermate obbligatorie

Come ogni viaggio che si rispetti, anche questo ha le sue fermate obbligate. E credetemi, dopo aver implementato progetti di AI in diverse aziende, ho imparato che saltare queste fermate è come passare col rosso: prima o poi ti presenterà il conto.

Prima fermata: Privacy e sicurezza dei dati. Non è solo una questione di compliance al GDPR (anche se i miei amici legali impazziscono quando lo dico così). È una questione di rispetto per le persone e per le loro informazioni. Ho visto troppi progetti naufragare perché nessuno si era posto la domanda: “questi dati che stiamo dando in pasto all’AI, sono davvero nostri da usare?”.

Seconda fermata: Etica e responsabilità. Questa è complicata, lo ammetto. Come stabilire se una decisione presa dall’AI è “eticamente corretta”? Chi è responsabile quando qualcosa va storto? In uno dei miei ultimi progetti, abbiamo creato una sorta di “comitato etico” interno che valuta ogni nuovo uso dell’AI. Sembra burocratico, ma credetemi: meglio perdere qualche giorno in più di valutazione che settimane a gestire una crisi.

Terza fermata: Formazione, formazione e … l’ho detto formazione? L’AI evolve più velocemente di quanto la maggior parte di noi riesca a tenere il passo. È come se il codice della strada cambiasse ogni settimana: devi continuamente aggiornarti, sperimentare, imparare. Non è facile, lo so. Ma l’alternativa è rimanere indietro, e nel mondo di oggi non ce lo possiamo permettere.

Il viaggio continua

Ma la cosa più importante, quella che davvero fa la differenza, è mettersi al volante. Ricordo ancora quando ho iniziato a sperimentare con l’AI nella scrittura delle mie newsletter (sì, anche questa che state leggendo è stata creata in collaborazione con la mia “co-pilota digitale”). All’inizio ero scettico, temevo di perdere la mia voce, il mio stile. Poi ho capito che era esattamente come guidare: più pratichi, più diventi bravo a capire quando fidarti dell’autopilot e quando invece è meglio prendere il controllo manuale.

E sapete qual è la cosa più sorprendente? Ho scoperto che l’AI mi ha aiutato a trovare una voce ancora più autentica. È come quando il navigatore ti suggerisce una strada alternativa e scopri un panorama che non avresti mai visto altrimenti.

In fondo, che si tratti di auto a guida autonoma o di sistemi AI che ci aiutano nel lavoro quotidiano, la vera intelligenza sta nel sapere quando premere l’acceleratore e quando invece è meglio tenere il piede sul freno. Come mi ha detto un vecchio amico imprenditore: “L’AI è come il caffè: usato nel modo giusto ti tiene sveglio e produttivo, ma se ne abusi finisci per perdere il sonno“.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe