SONG OF THE WEEK: Brian Wilson Said
Quest’anno compio 50 anni. Un traguardo che fino a poco tempo fa mi sembrava lontanissimo e che invece sta arrivando più veloce di quanto pensassi. Tra le tante cose che sto facendo per prepararmi a questa data (alcune serie, altre decisamente meno), ho iniziato a digitalizzare vecchi video e registrazioni di quando facevo teatro e suonavo in una band.
Ed è un viaggio nel tempo incredibile! Ho ritrovato canzoni scritte e suonate ormai quasi 30 anni fa. E sapete la cosa più sorprendente? Alcune non sono niente male! Certo, l’audio fa schifo e gli accordi sono basilari, ma c’è qualcosa di genuino in quelle registrazioni che mi ha fatto riflettere sul ruolo della creatività nella mia vita e nel mio lavoro.
La mia alleata
Guardando indietro è indubbio che la creatività è stata la mia più grande alleata nel percorso professionale degli ultimi 25 anni. Non parlo della creatività artistica in senso stretto, ma della capacità di guardare le cose da prospettive diverse, di mettere in discussione le pratiche già stabilite e di sperimentare approcci non convenzionali.
Nel corso degli anni ho imparato che il vero valore non sta nel seguire le strade battute, ma nell’essere disposti a esplorare sentieri alternativi. Ho sviluppato quello che chiamo “scetticismo costruttivo“: non accettare mai nulla come dato per scontato, ma verificare empiricamente, testare, sbagliare e imparare dai fallimenti.
Ora, non tutto è luccicante come sembra: questo approccio mi ha portato spesso a essere considerato quello “strano” all’interno dei team di lavoro. Come quella volta che ho proposto di usare tecniche di gamification in un progetto bancario (era il 2010 e sembrava fantascienza), o quando ho iniziato a parlare di AI generativa in contesti creativi (era la fine del 2022 e tutti pensavano fossi matto). Ma alla fine, queste “stranezze” si sono rivelate intuizioni preziose almeno per la mia crescita.
Routine di valore
La chiave? Non è stata tanto l’originalità delle idee (spesso erano già là fuori), quanto la disponibilità a metterle in pratica, a sperimentare, a rischiare il fallimento. L’empirismo personale, il “provare per credere“, è stato il mio mantra. E continua a esserlo.
In questo senso nel corso degli anni ho sviluppato una serie di routine che alimentano questa creatività empirica. La più importante? La meditazione mattutina. Non sono mai stato un tipo da meditazione zen o da rituali complessi perchè … mi distraggo. Ma nel tempo ho sviluppato un metodo e la mia pratica è semplice: 20 minuti al mattino, seduto, concentrato sul respiro. A volte funziona, a volte no, ma l’importante è la costanza.
Un’altra abitudine fondamentale è l’esposizione alla luce naturale appena sveglio. Lo faccio tutto l’anno, anche d’inverno quando è ancora buio. In estate, poi, quando sono a Lazise, questa routine diventa ancora più speciale: lunghe camminate o corse sul lungolago all’alba, quando i turisti dormono ancora e l’unico rumore è quello delle onde, delle papere e dei cigni.
Durante queste camminate ascolto sempre qualcosa di nuovo, spesso podcast, ma anche musica classica, meglio se non conosco le opere. È un modo per mantenere il cervello “elastico“, per esporlo a stimoli inaspettati. La musica classica, in particolare, ha una complessità che sfida le nostre aspettative e ci costringe a prestare attenzione in modo diverso.
Un processo ben definito
A proposito di stimoli e creatività, di recente ho letto un libro super interessante di Rick Rubin che parla proprio del processo creativo. Rubin lo divide in quattro fasi distinte:
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Raccolta dei semi: è una fase continua, senza scadenze. Si tratta di osservare, annotare, raccogliere idee e spunti ovunque li si trovi. Come facevo da ragazzo con le canzoni, oggi lo faccio con le idee per progetti e innovazioni che finiscono in file, note o appunti vocali.
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Sperimentazione: è il momento in cui si esplorano le potenzialità delle idee raccolte. Si prova, si sbaglia, si aggiusta il tiro. È la fase più divertente ma anche la più rischiosa: bisogna essere disposti a fallire e ad accettare il fallimento come possibile esito. Non banale, ma super utile
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Crafting: qui si passa alla concretizzazione. Le idee prendono forma, diventano prototipi, progetti pilota, prime bozze. È il momento in cui la visione incontra la realtà.
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Completamento: la fase finale di rifinitura e finalizzazione. È fondamentale sapersi fermare al momento giusto, evitando la trappola del perfezionismo.
Ma c’è un elemento che attraversa tutte queste fasi ed è diventato cruciale soprattutto in quest’epoca di sovraccarico digitale: la gestione delle distrazioni. In un mondo dove l’AI ci bombarda di suggerimenti e contenuti, dove le notifiche sono continue e le email infinite, la vera sfida è mantenere la concentrazione.
Il percorso non è scontato, ma ho sviluppato alcune strategie che mi aiutano:
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Blocchi di tempo dedicati alla “deep work”, dove telefono e email sono spenti
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Uso di app che bloccano le distrazioni (ironico usare la tecnologia per proteggersi dalla tecnologia, lo so, ma… funziona)
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Rituali di transizione tra diverse attività (una breve passeggiata, un caffè, qualche respiro profondo)
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Periodi di “digital detox” programmati, soprattutto nei weekend. (Lo so, dirà mia moglie che si può migliorare, ma ci stiamo lavorando)
Insomma, il dato di fatto è che più il mondo diventa digitale e automatizzato, più diventa importante coltivare la nostra creatività umana. L’AI è uno strumento potentissimo, ma è proprio come uno strumento musicale: non basta averlo, bisogna imparare a suonarlo. E soprattutto, bisogna avere qualcosa da dire.
Mentre riascoltavo quelle vecchie canzoni, tecnicamente imperfette ma piene di energia e autenticità, ho pensato che forse è proprio questo il punto: nell’era dell’AI, la creatività umana non sta tanto nella perfezione tecnica (per quella ci sono le macchine), quanto nella capacità di essere autentici, di sperimentare, di sbagliare possibilmente in modo interessante.
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe