“Noi anziani siamo una forza… silenziosa e tranquilla, ma se ci incazziamo sono dolori. Perché siamo di più.” Dal Film “Figli” del 2020.
Correva l’anno 2000 ed avevo 25 anni; la bolla delle dotcom era pronta a scoppiare mentre in Italia l’euro veniva introdotto come moneta in corso legale (ah, la lira la lira). Ad Aprile di quell’anno mi sono laureato e contemporaneamente ho iniziato a lavorare con una startup inglese per aprire il mercato Italiano.
Ho ripensato ai miei 25 anni qualche giorno fa quando ho conosciuto Bianca, co-founder di Factanza, una media company pensata per la GenZ. Lei ha 25 anni oggi, nel 2023, ed una lucidità che io alla sua età sono certo di non aver avuto (non ce l’ho neanche oggi in effetti).
Factanza non si limita a creare contenuti per informare le nuove generazioni, ma ha l’ambizione di far tornare proprio i giovani al centro del discorso, anche quello politico, sul futuro.
Ce n’è bisogno? Beh pare di si!
Ah, i giovani di una volta!
Secondo il report Istat del 2019, in Italia, la disaffezione politica è particolarmente pronunciata proprio tra i giovani: il disinteresse raggiunge il picco con oltre il 70% tra i giovani fino a 24 anni. In 50 anni, dalla fine degli anni ‘60 insomma, siamo passati dall’avere una generazione di giovani attiva, coinvolta e politicamente interessata ad una situazione come quella attuale.
Sarebbe facile dare la colpa proprio agli stessi giovani, così inebetiti da cellulari e social, ma in realtà è dal IV secolo avanti Cristo che i vecchi si lamentano delle nuove generazioni. Quindi no, non dipende da loro. Forse dipende da noi?
Forse; forse questi ragazzi sentono che alla fine nessuno li vuole ascoltare sul serio e che anche quando “diciamo” di volerli ascoltare in realtà alla fine non prendiamo in considerazione le loro proposte. La pandemia ha solo accellerato un processo già in atto: le nuove generazioni sentono che gli abbiamo tolto la voce e, conseguentemente, si sentono derubati anche del proprio futuro.
Ma come è possibile?
Una semplice questione di mercato
La risposta me l’ha data il mitico Alessandro Barbero in uno dei suo mille podcast non ufficiali che ascolto la mattina quando vado a correre; parlando di come sia oggettivo il fatto che i giovani d’oggi non contino nulla, Barbero con il suo stile diretto e fattuale ci dice che dipende tutto dai numeri.
I giovani non contano nulla, perché sono pochi.
Nel 1967, gli Italiani tra i 15 e 35 anni erano il 14,4% della popolazione totale; oggi sono il 10,6%. Insomma, un tempo erano rispettati e ascoltati oltre che coinvolti, perchè rappresentavano un “target di mercato” molto interessante, ma oggi i giovani stanno progressivamente uscendo dall’agenda politica del Paese.
Ma se questa è la situazione attuale, cosa ci aspetta nei prossimi anni?
Con un tasso di fecondità di 2,1 si mantiene stabile la popolazione; se scende sotto questa soglia, la popolazione inizia a diminuire. L’Italia, con un tasso di fecondità di 1,29, ben al di sotto del 2,1 da decenni, sta assistendo a una rapida diminuzione della fascia di under 35.
Da anni ci ripetiamo che questo porterà ad avvere una popolazione sempre più anziana che deve essere sostenuta da un numero sempre più piccolo di lavoratori giovani e produttivi. Vero, ma a mio modo di vedere il problema è più grave.
Un paese senza immaginazione?
La mancanza di giovani nella società porta inevitabilmente a un calo dell’innovazione e della creatività; sono loro spesso i principali motori del cambiamento e del progresso in molti settori, dalla tecnologia all’arte alla politica. Una diminuzione del loro numero può quindi tradursi in una società più statica e meno dinamica.
Ma non solo; la carenza di giovani può avere un impatto significativo sulla politica e sulla società. Questo può portare a una democrazia meno rappresentativa e a politiche che trascurano le esigenze e le aspirazioni delle nuove generazioni.
È tempo di comprendere che le decisioni che prendiamo oggi non riguardano solo noi, ma anche le generazioni future. Le politiche della famiglia possono e devono avere un ruolo (quando non sono ideologiche), ma la chiave sta nell’investire direttamente sui giovani, sia in termini di formazione e istruzione che in termini di partecipazione attiva nella società.
Sta a noi
La palla quindi non ce l’hanno in mano i ragazzi; il loro lo stanno facendo prendendosi rischi e creando nuove opportunità ed aziende.
La palla sta a noi, i “boomer”.
Piuttosto che concentrarci esclusivamente (ed egoisticamente) su come supportare l’età avanzata della popolazione, dovremmo guardare a come potremmo dare maggiore potere decisionale alle nuove generazioni. Chiediamo ai giovani di disegnare il futuro. Non solo in senso figurato, ma in maniera concreta; sono bravi, sono affamati. Chiedono solo spazio.
Ascoltiamo le loro idee e preoccupazioni, e utilizziamole per modellare le politiche, ma anche le aziende di domani. Includiamoli nelle decisioni che riguardano la loro formazione, il mercato del lavoro, l’ambiente, la tecnologia, la sanità e tutto ciò che influenzerà la loro vita futura.
Dopo tutto, non è compito dei giovani soltanto vivere nel mondo che gli adulti lasciano loro, ma è anche loro diritto poter modellare il mondo in cui dovranno vivere.
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe