La grande disconnessione: ecco cosa prova il 90% dei lavoratori italiani (#104)


SONG OF THE WEEK: Breakout (FooFighters)

Nelle ultime settimane in Talent Garden abbiamo completato il processo di performance review, un rituale aziendale che, con cadenza periodica, ha l’obiettivo di inquadrare l’andamento dell’azienda e delle sue risorse. Un momento che suscita sempre sentimenti contrastanti: da un lato l’opportunità di ricevere e dare feedback strutturati sul proprio lavoro e sul proprio manager, dall’altro quella sensazione di essere messi sotto esame che non abbandona mai del tutto nemmeno i veterani.

Durante queste sessioni di feedback, tra obiettivi raggiunti e aree di miglioramento, una parola è emersa con particolare insistenza: engagement. Quanto siamo davvero coinvolti nel nostro lavoro? Quanto sentiamo di appartenere non solo all’azienda per cui lavoriamo, ma anche ai progetti che portiamo avanti?

Ma provando a guardare un pò più la big picture, come si posiziona l’Italia nel panorama globale quando si parla di engagement lavorativo?

Una possibile risposta è contenuta nel nuovo report Gallup “State of the Global Workplace 2025“, appena pubblicato, e i dati sono a dir poco illuminanti. O forse dovrei dire preoccupanti.

Una disconnessione profonda

Partiamo dal dato più eclatante: solo il 10% dei lavoratori italiani si definisce “engaged”, cioè attivamente coinvolto nel proprio lavoro. In altre parole, il 90% dei lavoratori italiani vive in uno stato di disengagement più o meno pronunciato. L’Italia si posiziona al 28° posto su 38 nazioni europee. Un risultato sconfortante, soprattutto se confrontato con la media europea del 13% (già di per sé non esaltante) e con la media globale del 21%.

C’è un timido segnale positivo: questo dato è cresciuto di 2 punti percentuali rispetto al triennio precedente, ma restiamo ben lontani da una situazione ottimale, soprattutto se pensiamo alle implicazioni in termini di produttività e retention.

La situazione non migliora quando si guarda ad altri indicatori. Solo il 21% degli italiani si considera “thriving”, cioè con una visione positiva sia del presente che del futuro. Siamo tra i fanalini di coda in Europa, quinti peggiori su 38 paesi, ben lontani dalla media europea del 47% e anche sotto la media globale del 33%.

Se vi state chiedendo cosa significhi tutto questo nella vita quotidiana, ecco qualche dato sulle emozioni negative:

  • Il 49% degli italiani ha sperimentato molto stress il giorno precedente, valore decisamente superiore alla media europea (38%).

  • Solo il 9% ha provato rabbia, uno dei valori più bassi in Europa (forse siamo più rassegnati che arrabbiati? Mmm…)

  • Il 21% ha provato tristezza, in linea con altri paesi europei.

  • Il 13% ha vissuto solitudine, poco sopra la media regionale (12%).

Un quadro che descrive una popolazione lavorativa stressata ma non particolarmente reattiva, più incline a subire che a reagire.

Leadership e lavoro da remoto

Altro dato interessante è quello per cui in Italia, l’engagement dei manager si attesta al 21%, mentre quello degli individual contributors crolla al 9%. Un divario che racconta di un forte scollamento tra leadership e base operativa, con evidenti impatti sulla produttività. A livello globale, il manager è responsabile del 70% della varianza nell’engagement del team. Nel nostro paese, questo legame sembra particolarmente fragile.

Passando poi al lavoro da remoto, suonerà controintuitivo, ma i dati globali mostrano che i lavoratori completamente da remoto presentano i livelli più alti di stress e solitudine. In Italia, dove il lavoro ibrido è ancora meno diffuso rispetto ad altri paesi, questo fenomeno potrebbe accentuare il disagio nei contesti full remote.

Ricordo ancora quando, nei primi mesi post-pandemia, passavo giornate intere davanti allo schermo senza interazioni umane dirette. La produttività era alta, ma la sera mi sentivo svuotato in un modo diverso rispetto alla stanchezza dell’ufficio. C’era una componente emozionale mancante che nessuna call su Zoom poteva sostituire. E da li era nato “un bicchiere di vino con”, ma è un’altra storia.

Una crisi silenziosa

Un altro dato globale che probabilmente si riflette anche in Italia è quello sulle manager donne hanno registrato un calo di 7 punti nell’engagement, mentre i manager under 35 un calo di 5 punti nel wellbeing.

Questo segnala un bisogno critico di programmi di coaching e supporto generazionale nel management. Le persone che dovrebbero guidare il cambiamento sono spesso quelle più in difficoltà, intrappolate tra aspettative crescenti e risorse insufficienti.

Nonostante il miglioramento nella percezione del mercato del lavoro, l’Italia resta tra i fanalini di coda in soddisfazione di vita ed engagement. Per certi versi un paradosso perchè il clima lavorativo percepito migliora, ma il vissuto delle persone no. Questo indica un’asimmetria fra recovery macroeconomica e sentiment micro-organizzativo.

È come se guardassimo tutti lo stesso film, ma con occhiali diversi. I dati economici raccontano una storia di ripresa, ma l’esperienza quotidiana delle persone ne racconta un’altra, fatta di disconnessione e insoddisfazione.

Come uscirne? Un possibile action plan

Davanti a questo scenario l’unica opzione da escludere è la rassegnazione: ecco quindi qualche spunto sia a livello di singola organizzazione che di sistema, per provare ad incidere sull’engagement delle persone sul lavoro:

1. Empower del Middle Management

Il manager è il principale moltiplicatore di engagement (70% della varianza nei team). In Italia è in crisi, soprattutto tra donne e under 35. Ecco quali potrebbero essere le azioni prioritarie da portare avanti:

  • Introdurre managerial coaching strutturato per i team leader, con focus su comunicazione, riconoscimento, team motivation.

  • Implementare una piattaforma di formazione su misura per manager junior e first-time leaders.

  • Creare programmi di mentoring incrociato (generazionale e di genere) per rafforzare resilienza e retention.

In TAG abbiamo iniziato ad esplorare questo territorio con il nostro programma di mentorship interno, un buddy program in pratica, che non è solo un modo per facilitare l’onboarding dei nuovi arrivati, ma rappresenta un tentativo concreto di creare legami autentici fin dal primo giorno.

Ma ovviamente c’è ancora molta strada da fare e la sfida non è solo tecnica, ma profondamente umana: aiutare i manager a sviluppare quella intelligenza emotiva che fa la differenza nel coinvolgere le persone.

2. Reinventare il Lavoro Flessibile

Il lavoro completamente remoto è associato a più stress e solitudine. Serve flessibilità, ma anche coesione e relazioni umane. Anche qui qualche spunto da cui partire

  • Rivedere policy HR su smart working per favorire modelli ibridi evoluti (presidio culturale + flessibilità reale).

  • Misurare regolarmente il sentiment dei lavoratori remoti (emozioni negative e senso di appartenenza).

  • Investire in rituali di team building ibridi (anche digitali) per mantenere engagement e legame sociale.

Ricordo ancora quando, in piena pandemia, abbiamo organizzato una cena virtuale con ingredienti reali recapitati a casa di tutti. Un esperimento che sembrava assurdo ma che ha creato un momento di connessione autentica nonostante la distanza. È quel tipo di creatività che dobbiamo continuare a coltivare.

3. Allineare Vision, Cultura e Wellbeing

Perché: I lavoratori italiani migliorano nella percezione del mercato ma restano demotivati: la cultura non sta evolvendo al ritmo della ripresa.

Azioni Prioritarie:

  • Lanciare una campagna interna di ascolto e co-creazione sulla cultura aziendale post-pandemia.

  • Collegare chiaramente mission, purpose e KPI individuali nei sistemi di performance.

  • Incentivare micro-pratiche quotidiane di riconoscimento, feedback e caring nelle routine manageriali.

In TAG, i nostri snippet settimanali cercano proprio di andare in questa direzione, creando un rituale di allineamento che rende visibile il contributo di ciascuno alla missione comune e permette di condividere progressi e criticità in formato snello, ma efficace. Ma potremmo fare di più per rendere i nostri obiettivi non solo chiari, ma anche emotivamente coinvolgenti.

4. Interventi mirati sulle fasce a rischio

Le donne manager e i giovani sono i più in difficoltà e a rischio di burnout e abbandono; urge un cambio di direzione che magari passi attraverso il:

  • creare percorsi di supporto psicologico e coaching individuale per manager femminili e under 35;

  • offrire piani di sviluppo chiari (career path, upskilling) per aumentare motivazione e prospettiva;

  • introdurre un framework ESG interno che tenga conto anche del benessere dei gruppi più fragili.

Un tema questo che mi sta particolarmente a cuore. Quante volte ho visto colleghe brillanti farsi carico di responsabilità enormi senza il supporto adeguato, finendo per pagare un prezzo personale altissimo? O giovani talent costretti a navigare a vista in un mare di aspettative senza una mappa chiara?

La responsabilità della leadership su questi temi è chiara.

La ricerca di senso al lavoro

I dati Gallup 2025 ci raccontano una storia che va oltre i numeri; parlano di un’Italia lavorativa in cerca di significato, dove la ripresa economica non si è ancora tradotta in benessere percepito. Il nostro 10% di engagement è più di un dato statistico: è il sintomo di una disconnessione profonda tra persone e organizzazioni.

Come leader, manager o semplici professionisti, abbiamo tutti la responsabilità di contribuire a creare ambienti di lavoro più umani e coinvolgenti e questo non solo per una questione di produttività, ma di qualità della vita.

Perché, alla fine, passiamo al lavoro la maggior parte delle nostre ore di veglia. Non meritano di essere ore migliori?

Personalmente sono convinto che il cambiamento inizia dalle piccole cose: un feedback sincero, un momento di ascolto autentico, il coraggio di mettere in discussione pratiche consolidate ma non più efficaci. E soprattutto, dalla consapevolezza che dietro ogni dato c’è una persona, con le sue speranze, paure e aspirazioni.

Ti lascio con questa domanda. Qual è stata l’ultima volta in cui ti sei sentito veramente coinvolto, energizzato, pienamente presente nel tuo lavoro? E cosa possiamo fare, individualmente e collettivamente, per rendere quei momenti la regola anziché l’eccezione?

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe