La Grande Retromarcia di Amazon e l'Ibrido Intelligente! (#72)


Questa settimana il mio feed LinkedIn, e non solo, è stato letteralmente monopolizzato dalla notizia dell’annuncio di Andy Jassy, CEO di Amazon, riguardo un piano per ridurre il lavoro da remoto e riportare i dipendenti in ufficio.

Sia chiaro, Amazon non è la prima azienda a proporre progetti simili e non è nemmeno la prima volta che Amazon stessa ci prova. Finora, la maggior parte dei tentativi di cui sono a conoscenza non sono andati come previsto.

Bisognerebbe chiedersi forse come mai… ma ad ogni modo. Cosa ha portato il CEO di Amazon a prendere una decisione così forte e, per molti aspetti, impopolare?

La grande C

Mi pare interessante notare come la lettera del CEO di Amazon, a partire dalla quale si è scatenato tutto questo dibattito, non parli mai esplicitamente di eliminare lo smart working, ma di rafforzare la cultura aziendale. Questo è particolarmente significativo per me perché proviene da una delle società più importanti al mondo, che ha tutti gli strumenti e le conoscenze per puntare su piattaforme di ingaggio ibride con i dipendenti. E invece?

Jassy scrive: “Quando guardiamo indietro negli ultimi cinque anni, continuiamo a credere che i vantaggi di stare insieme in ufficio siano significativi”. Sottolinea come sia più facile per i dipendenti “imparare, modellare, praticare e rafforzare la nostra cultura; collaborare, fare brainstorming e inventare è più semplice ed efficace; insegnare e imparare l’uno dall’altro è più agevole; e i team tendono ad essere meglio connessi tra loro“.

Ma siamo proprio sicuri che per creare, diffondere e consolidare una forte cultura aziendale sia necessario, nel 2024, stare tutti insieme, ogni giorno, dalle 09 alle 18 nello stesso posto?

Impariamo dal passato

Tutto è iniziato con l’invenzione della scrittura, circa 5000 anni fa. All’improvviso, non dovevamo più affidarci a qualche vecchio barbuto per ricordare le leggi o le storie del nostro popolo. Boom! Le parole su argilla e papiro hanno dato il via a civiltà intere.

Poi arriva Gutenberg con la sua stampa a caratteri mobili. Improvvisamente, anche questa volta, le idee potevano diffondersi e la conoscenza non era più un privilegio di pochi ricchi annoiati, ma diventava accessibile alle masse.

E ora? Ora siamo nell’era dell’AI generativa.Un cocktail shaker che mescola in tempo reale tutto il sapere del mondo e lo rende fruibile ogni giorno, in forme nuove e sorprendenti.

Allora? Allora il punto è che nel 2024, con tutta la tecnologia a nostra disposizione, possiamo creare, diffondere e consolidare la cultura aziendale da qualsiasi posto. Che sia dal divano di casa, da una spiaggia tropicale o dalla cima dell’Everest (anche se lì il Wi-Fi potrebbe non darci supporto). Certo, bisogna avere un disegno chiaro e una chiara value proposition.

Ma se fosse stato facile non ci sarebbe stato bisogno di leader!

La domanda che dovremmo farci è: come possiamo sfruttare al meglio questi strumenti e queste nuove tecnologie per creare una cultura aziendale che sia veramente innovativa e, diciamocelo, inclusiva?

L’impatto della pandemia

Credo che l’impatto del lavoro remoto nella vita delle persone sia ancora oggi del tutto sottovalutato. Questo approccio ha permesso a molte persone di gestire meglio l’integrazione tra vita professionale e personale, inclusi coloro che hanno responsabilità di cura verso familiari o altre persone a carico.

Ha contribuito a ridurre i costi mensili legati al pendolarismo e ha favorito una maggiore inclusione lavorativa per individui con disabilità, condizioni di salute croniche o altre situazioni che possono rendere difficile il lavoro in presenza a tempo pieno.

In Italia ad esempio tanti lavoratori nel mondo della consulenza e del tech hanno approfittato in questi ultimi anni della possibilità di lavorare da remoto, spostandosi dalle costose città del nord (vogliamo parlare degli affitti di Milano?) verso località più economiche nel sud e non solo. “Lavora da ovunque” è diventata una tattica di reclutamento preferita, con alcuni lavoratori a cui è stato detto, e promesso, che non avrebbero mai dovuto tornare in ufficio.

Ma anche trascurando questi impatti, tornare in ufficio cinque giorni a settimana potrebbe rivelarsi comunque troppo difficile per molte aziende che hanno fatto assunzioni per posizioni da remoto. Quasi un terzo dei lavoratori nelle grandi aziende l’anno scorso non lavorava nella stessa area metropolitana dei loro manager, in aumento rispetto a circa il 23% di febbraio 2020, secondo i dati del fornitore di buste paga ADP.

Ma allora che fare?

L’ibrido (intelligente) è la soluzione

Ho letto qualche giorno fa un commento del CEO di Calm, l’app per la salute mentale, all’annuncio di Amazon.

Per noi, e per molti amministratori delegati in questo periodo, riportare tutti in ufficio a tempo pieno sarebbe estremamente destabilizzante, non solo per l’azienda, ma anche per la vita dei dipendenti“, ha affermato David Ko, CEO di Calm, un’app per la salute mentale. E loro come gestiscono oggi questa situazione?

In modo molto semplice ed efficace; hanno costruito sei hub in diverse aree geografiche negli Stati Uniti ed il personale che si trova nelle vicinanze di una di queste aree può andare fisicamente in ufficio da uno a cinque giorni alla settimana, a seconda del ruolo. On top l’azienda periodicamente riunisce alcuni team per sessioni di collaborazione di due o tre giorni su progetti specifici.

Insomma quello che credo oggi, con l’esperienza di questi anni alle spalle e la possibilità ogni giorno di confrontarmi con persone e colleghi in tante parti del mondo, è che il futuro del lavoro non possa che essere ibrido, ma un ibrido intelligente.

Non si tratta semplicemente di dividere la settimana tra casa e ufficio, ma di ripensare completamente il modo in cui lavoriamo, collaboriamo e creiamo valore.

Ecco alcuni punti chiave che, secondo me, dovrebbero guidare le aziende in questa transizione:

  1. Flessibilità con uno scopo: Il lavoro da remoto non dovrebbe essere visto come un privilegio, ma come uno strumento per migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti. Allo stesso tempo, il tempo in ufficio dovrebbe essere mirato e significativo, focalizzato sulla collaborazione e l’innovazione.

  2. Investire nella tecnologia giusta: Per rendere efficace il lavoro ibrido, le aziende devono investire in strumenti che facilitino la collaborazione a distanza e garantiscano che i lavoratori remoti non siano svantaggiati.

  3. Ripensare gli spazi di lavoro: Gli uffici dovrebbero essere riprogettati per favorire la collaborazione e l’interazione sociale, piuttosto che essere semplicemente luoghi dove le persone si siedono davanti a un computer.

  4. Formazione continua: I manager e i dipendenti hanno bisogno di nuove competenze per navigare efficacemente in un ambiente di lavoro ibrido. La formazione dovrebbe essere una priorità.

  5. Cultura inclusiva: È fondamentale creare una cultura aziendale che valorizzi sia il lavoro in presenza che quello a distanza, e che garantisca pari opportunità di crescita e sviluppo per tutti.

  6. Misurare i risultati, non le ore: Le aziende dovrebbero concentrarsi sui risultati e sull’impatto, piuttosto che sul tempo trascorso alla scrivania.

  7. Attenzione al benessere: Il lavoro ibrido può portare nuove sfide per la salute mentale. Le aziende devono essere proattive nel supportare il benessere dei loro dipendenti.

E’ chiaro che il dibattito sul ritorno in ufficio non è solo una questione di preferenze personali o di politiche aziendali. È un riflesso di come stiamo ripensando il lavoro, la produttività e il benessere nel 21° secolo.

Il mandato di Amazon è un esperimento interessante, ma è chiaro che non è l’unica via. Ogni azienda dovrà trovare il proprio equilibrio, basato sulle sue specifiche esigenze e sulla sua cultura.

Una cosa è certa: il futuro non aspetta nessuno, e di certo non aspetterà che finiamo di fare la coda alla macchinetta del caffè.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe