La pandemia silenziosa (#3)


Una pandemia di solitudine sta contagiando il mondo; l’assurdo è che a causarla sono stati in buona parte proprio i social media.

Nel 2014, quando Facebook era al suo picco e Instagram stava esplodendo, io e il mio socio abbiamo venduto la nostra agenzia Ambito5, specializzata proprio in social media, al Gruppo Publicis, una multinazionale francese del marketing e della comunicazione. Soldi a parte questa mossa poteva sembrare un pò strana; Facebook era pronto a prendere il controllo del mercato della pubblicità e i social media erano diventati l’arma segreta per comunicare, vendere e tanto altro. Perchè lasciare?

Oggi, a quasi 10 anni da quando abbiamo venduto, il mondo dei social è completamente cambiato. Ci sono nuovi big come TikTok, che per la GenZ e i Millennials ha già superato tutte le piattaforme di streaming in termini di popolarità, e ci sono nuovi strumenti come Discord, che ha un suo stile e un suo linguaggio a parte rispetto ad altri strumenti di messaggistica. Inoltre, 10 anni fa, il mondo dell’influencer marketing era un vero Far West, senza regole e la maggior parte delle persone coinvolte non erano proprio affidabili… il mio amico Karim direbbe che in parte questo è ancora vero oggi.

Allo stesso tempo, le “vecchie” piattaforme come Facebook, Instagram e YouTube, anche se non stanno più crescendo a ritmi folli come un tempo, hanno costruito un ambiente super per la pubblicità con formati e modelli di business che reggono più che bene (fa eccezione Twitter, ma ora con Elon…).

Questi strumenti digitali, che miliardi di persone in tutto il mondo usano tutti i giorni, sono entrati a far parte della nostra routine, cambiando il modo in cui lavoriamo, studiamo e socializziamo. Socializziamo? Sicuri?

Sempre più studi e ricerche dimostrano in realtà come l’uso, e l’abuso, dei social media sia alla base di crescenti problemi psicologici, in particolare per i più giovani.

In sintesi: una vera e propria pandemia di solitudine sta contagiando il mondo; l’assurdo è che a causarla sono stati in buona parte proprio i social media.

L’algoritmo: quando tutto cambia

Potremmo dire che una svolta significativa per i social media era avvenuta già un paio d’anni prima che vendessimo Ambito5, nel 2012. È in quell’anno infatti che Facebook acquista Instagram, a quel tempo poco più di una startup con soli 15 dipendenti, per una cifra impressionante di un miliardo di dollari.

Il 2012 è anche l’anno in cui gli smartphone diventano popolari tra i giovani, e i social media rappresentano uno dei motivi principali che spingono i ragazzi a comprare questi nuovi dispositivi. Secondo l’esperta Jean Marie Twenge, una psicologa e ricercatrice americana, questo momento storico coincide con un aumento dei sentimenti di solitudine e depressione tra i giovani adulti negli Stati Uniti e altrove.

Tre anni prima, nel 2009, Facebook introduce il “Mi piace“, Twitter crea il pulsante di retweet e, a seguire, i feed degli utenti diventano il regno dell’algoritmo, che punta a creare meno connessioni autentiche tra una persona e la sua rete sociale e più a creare “coinvolgimento” per tenere gli utenti sulla piattaforma più a lungo e con maggiore frequenza.

Questo aspetto, che è fondamentale per monetizzare le piattaforme e permettere loro di sostenersi, ha trasformato i social media in vere e proprie “macchine di engagement”, generando due effetti: un aumento nella polarizzazione nei contenuti (più polemico è il mio post, più commenti positivi/negativi attirerà, aumentandone la visibilità) e un’accelerazione nei modelli di interazione che riducono di molto la durata dei contenuti stessi.

Il coinvolgimento infatti si basa sulla capacità di un post di suscitare emozioni intensificando la dipendenza dai social media e rafforzando le bolle informative. Quello che succede è che gli algoritmi di apprendimento automatico dei social media analizzano i dati degli utenti e creano un feed di notizie su misura che riflette i loro interessi, opinioni e comportamenti passati. Ciò può portare alla creazione di “echo chamber”, in cui gli utenti sono esposti principalmente a informazioni e opinioni che rafforzano le loro credenze esistenti.

Ma con quali effetti?

I numeri della pandemia

Il Program for International Student Assessment, o PISA, è un programma di ricerca che ha intervistato decine di adolescenti in diversi paesi a partire dal 2000; i risultati hanno mostrato un aumento significativo del sentimento di solitudine tra i giovani in 36 su 37 paesi proprio a partire dal 2012. La cosa sorprendente è che tra il 2000 e il 2012 meno del 18 degli intervistati riportava alti livelli di solitudine. Sarà un caso?

Nei sei anni successivi al 2012, i tassi sono aumentati drasticamente. Sono circa raddoppiati in Europa, America Latina e nei paesi di lingua inglese, e sono aumentati di circa il 50 percento nei paesi dell’Est asiatico. Quando i ricercatori hanno cercato di correlare questo aumento con altri fattori come la dimensione della famiglia, le variazioni del PIL, l’aumento della disuguaglianza di reddito e l’aumento della disoccupazione, hanno scoperto che solo l’accesso agli smartphone e l’uso di Internet e dei social media sembravano essere correlati con la solitudine adolescenziale.

Un altro progetto di ricerca, realizzato della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS e UNICEF, ha messo in evidenza che il 47% degli intervistati ha manifestato un Disturbo Specifico di Apprendimento correlato a un disturbo psicologico, mentre il restante 53% presentava altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, disturbi della nutrizione, disturbo da deficit di attenzione, iperattività, disturbi del movimento, patologie neurologiche e/o neuro-muscolari. Più preoccupante è il fatto che il 39% dei ragazzi mostra sintomi di un disturbo affettivo ansioso-depressivo, con il rischio di evolvere in una qualche forma di psicopatologia.

In un’altra ricerca del 2019, pubblicata sul Journal of Adolescent Health, si è scoperto che, rispetto agli adolescenti che passano solo un’ora al giorno sui social media, quelli che vi trascorrono cinque ore al giorno hanno un rischio del 50% in più di segnalare problemi di sonno, che sono uno dei più grandi indicatori di depressione.

Potrei fermarmi qui, ma riporto solo un ultimo articolo dove si parla dell’influenza dei social media sul comportamento suicida. In sintesi i social media sembrano portare ad un aumento del rischio di comportamenti autolesionisti causati da cyberbullismo, ma anche dalla formazione di patti suicidi online o più banalmente dalla facilità di accesso a informazioni … Insomma abbiamo toccato il fondo? Ora iniziamo a scavare!

La prossima ondata: la variante AI

Mentre ancora ci confrontiamo con questi cambiamenti e le loro implicazioni su piattaforme che usiamo ogni giorno, c’è un altro elemento che potrebbe entrare in gioco: l’intelligenza artificiale (ancora lei, proprio il tema del momento insomma).

In “Her“, un film del 2013, il protagonista Theodore, un tizio solitario in crisi per un divorzio, finisce per innamorarsi di una intelligenza artificiale, Samantha. La tecnologia diventa la sua unica amica. Samantha, programmata per comprenderlo e supportarlo, finisce per rispecchiare tutti i suoi bisogni emotivi, un po’ come le “echo chamber” di cui parlavamo prima. Ma nonostante la presenza di Samantha, la solitudine di Theodore non scompare, anzi, a volte sembra peggiorare… e non spoieleriamo altro!

Non lo avrei mai pensato nel 2014, quando ho venduto la mia agenzia, ma lo scenario presentato nel film non è poi così lontano dalla realtà di oggi, dove sempre più persone si appoggiano a strumenti tecnologici per sentirsi un pò meno soli; social media, chatbot e altre forme di intelligenza artificiale stanno diventando sempre più sofisticate, e sempre più capaci di simulare interazioni umane reali. Proprio come nel film però queste interazioni non riescono a sostituire il calore e la profondità dell’interazione umana autentica e possono addirittura contribuire a generare un senso di isolamento. Possono in realtà disconnetterci. Quindi? Che fare?

Sicuramente le società che sviluppano e gestiscono queste piattaforme si devono assumere la responsabilità di educare i loro utenti sulle possibili implicazioni dell’uso eccessivo. Questo potrebbe includere la fornitura di strumenti che aiutano gli utenti a monitorare e limitare il loro tempo di utilizzo, così come la promozione di un equilibrato “consumo” di contenuti digitali.

Poi dovremmo considerare la necessità di una regolamentazione a livello legislativo. Il settore della tecnologia è noto per la sua rapida evoluzione, e le leggi attuali possono non essere in grado di affrontare le questioni etiche e sociali che emergono. Questo potrebbe includere la protezione dei dati personali, la questione della dipendenza da tecnologia, e il potenziale impatto sulla salute mentale degli utenti.

Credo però che il vero aspetto fondamentale sia incoraggiare la socializzazione offline tra i giovani, ma non solo. I social erano nati con la promessa di rendere più facili le interazioni tra persone attraverso il digitale ed invece, per seguire i propri obiettivi economici, queste piattaforme si sono trasformate in macchine che fomentano l’odio, diffondono false notizie e generano solitudine.

Abbiamo bisogno di nuovi spazi, di un tempo più lento e di ritrovarci per affrontare questa pandemia silenziosa, insieme.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe