SONG OF THE WEEK: WELLLL di Jacob Collier
La Nutella è uno di quei pochi prodotti che mette tutti d’accordo. A casa Mayer però è diventata una questione seria; nei primi mesi di relazione con mia moglie più volte è capitato che trovasse il barattolo vuoto sul tavolo della cucina. Come se un topolino goloso lo avesse assaltato durante la notte. Quel topolino, ovviamente, ero io. Ecco, dopo qualche mese mia moglie ha adottato una strategia definitiva: nasconde strategicamente la Nutella, spostando il barattolo ogni settimana. Una caccia al tesoro che, devo ammettere, rende il premio ancora più dolce quando lo trovo. Ma questa è un’altra storia.
Il punto è che tu NON sei Nutella. E non dovresti nemmeno provare ad esserlo.
E’ un dato di fatto: i leader che in azienda cercano di piacere a tutti finiscono per non piacere a nessuno, soprattutto a se stessi. È una delle trappole più insidiose nel mondo professionale, eppure continuiamo a caderci. Pensiamo che per essere efficaci dobbiamo essere amati. E invece no!
Le grandi trasformazioni richiedono decisioni nette, che inevitabilmente renderanno qualcuno infelice. E va bene così.
La trappola
Anni fa, quando ho assunto il mio primo ruolo dirigenziale, avevo un desiderio ossessivo di essere il “capo simpatico”. Volevo essere quello che tutti invitavano alle cene post-lavoro, che riceveva i bigliettini di ringraziamento, le battutine amichevoli nei corridoi. Il risultato? Decisioni rimandate, problemi lasciati a marcire, e un team confuso su priorità e direzione.
Poi è arrivata quella che chiamo la mia “epifania da manager”: durante una riunione particolarmente difficile, dovevo comunicare la necessità di cancellare un progetto in cui molti avevano investito tempo ed energia. Sapevo che la decisione era quella giusta da un punto di vista aziendale, ma temevo di diventare improvvisamente “il cattivo”.
Un mio mentore dell’epoca, guardandomi tergiversare, mi disse dopo la riunione: “Giuseppe, stai cercando di essere amato o di essere efficace? Perché raramente puoi essere entrambe le cose“. Quella frase mi è rimasta impressa. Non puoi essere entrambe le cose.
La vera leadership non è una gara di popolarità; è piuttosto un esercizio di autenticità, di coerenza e di visione. Si tratta di creare una cultura in cui le decisioni vengono prese in base al loro merito, non in base a quanto ci renderanno popolari.
Un leader è tale perché ha una direzione chiara e la mantiene anche quando è scomoda o impopolare. Come disse una volta Winston Churchill: “Non puoi dire a un leader: ‘Per favore, conducimi da qualche parte, ma non lasciarmi sconvolgere da questo viaggio’“. Il cambiamento, quello vero, è sempre sconvolgente.
E un leader che ha paura di sconvolgere è come un chirurgo che ha paura di vedere il sangue.
Il conflitto come valore
Mi rendo conto oggi che statisticamente i team che rispetto di più sono quelli in cui i leader non temono il conflitto sano, dove le persone possono esprimere disaccordo senza paura, e dove le decisioni vengono prese non per compiacere, ma per far progredire l’organizzazione.
Questo non significa diventare dispotici o insensibili. Tutt’altro. Significa creare una cultura in cui l’onestà è valorizzata più della gentilezza falsa. In cui il feedback diretto, anche quando è scomodo, viene visto come un dono, non come un’offesa.
Un esempio? Nella mia vita professionale ho visto manager rimandare licenziamenti necessari di dipendenti non performanti perché volevano evitare il confronto. Il risultato? Interi team demoralizzati che vedevano i colleghi sotto-performanti continuare indisturbati, mentre loro si facevano in quattro. Quale messaggio stavano mandando? “Preferisco la pace temporanea alla giustizia e salute dell’organizzazione“. Questo non è leadership, è “stare comodi”.
La vera compassione spesso richiede coraggio. Il coraggio di dire verità difficili con gentilezza. Il coraggio di prendere decisioni impopolari per il bene maggiore. Il coraggio di rimanere fermi nelle proprie convinzioni quando sarebbe più facile cedere alla pressione del consenso.
Il costo nascosto
Sia chiaro; il bisogno ed anche la necessità di sentirsi amati è profondamente umana. Siamo programmati, a livello evolutivo, per cercare l’approvazione sociale. Il rifiuto, in tempi antichi, significava spesso morte certa, espulsi dal gruppo e lasciati soli ad affrontare un mondo ostile. Non sorprende quindi che il timore del giudizio negativo sia così radicato in noi.
Ma il prezzo che paghiamo per questa ricerca ossessiva di approvazione nel contesto lavorativo moderno è enorme. E sto parlando di costi concreti, tangibili: stress cronico, decisioni paralizzate, rispetto eroso giorno dopo giorno.
Temere costantemente di deludere qualcuno, vivere con l’ansia perenne di quella riunione in cui avrebbero dovuto dire qualcosa che non tutti avrebbero gradito. È estenuante, sia mentalmente che fisicamente.
E poi c’è il costo per l’organizzazione. Le decisioni ritardate o annacquate per non scontentare nessuno finiscono per creare soluzioni mediocri, prive di mordente. È la ricetta perfetta per la stagnazione. Come disse una volta Steve Jobs (e qui lo cito perché la frase è giusta, anche se non consiglio di emulare il suo stile di leadership nel complesso): “Se vuoi rendere felici tutti, non fare il leader. Vendi gelati“. Gelati… nutella… forse dovrei far una pausa e andare a mangiare qualcosa!
Qualche anno fa ho fatto un progetto di consulenza per una azienda che aveva un CEO famoso per la sua necessità di consenso unanime. Niente veniva deciso se non c’era l’approvazione di tutti i dirigenti.
Sembrava democratico, ma in realtà era paralizzante. I concorrenti più agili li stavano sorpassando a velocità impressionante mentre loro erano bloccati in infinite discussioni per trovare la soluzione che non avrebbe scontentato nessuno. Quando finalmente sono riusciti a prendere decisioni, era troppo tardi. L’azienda ha perso quote di mercato significative ed è stata infine acquisita, con tagli di personale molto più dolorosi di quelli che avrebbero potuto gestire se avessero agito con decisione prima.
La lezione? A volte, il desiderio di non scontentare nessuno finisce per danneggiare tutti. Una decisione difficile ma tempestiva è quasi sempre migliore di una decisione perfetta ma in ritardo. E i team, anche quando non sono d’accordo con una decisione, rispettano un leader che sa prendere posizione e assumersi la responsabilità.
5 cose da ricordare per essere un leader migliore
Quindi, come mettiamo in pratica tutto questo? Come ci liberiamo dalla necessità di piacere a tutti per diventare leader più autentici ed efficaci? Ecco la mia checklist personale, sviluppata attraverso anni di errori, apprendimento e, sì, qualche momento di impopolarità:
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Separare il tuo valore dal giudizio altrui. Il tuo valore come leader (e come persona) non è definito dall’approvazione degli altri. È definito dalla tua integrità, dalle tue azioni e dai tuoi valori. Quando prendi una decisione impopolare ma necessaria, ricordati: il disaccordo con le tue idee non è un rifiuto del tuo valore. È solo disaccordo. Punto. Questo “distacco sano” ti aiuterà a rimanere centrato e a prendere decisioni più lucide.
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Coltivare la cultura del disaccordo rispettoso. I migliori team non sono quelli in cui tutti vanno sempre d’accordo. Sono quelli in cui il disaccordo è visto come parte sana del processo decisionale. Incoraggia il tuo team a mettere in discussione le idee, anche le tue. Assicurati che capiscano che possono essere in disaccordo senza temere ritorsioni. Ma stabilisci anche chiare aspettative: una volta presa la decisione, è tempo di allinearsi e andare avanti uniti.
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Comunicare il “perché”, non solo il “cosa”. Anche le decisioni più impopolari trovano maggior accettazione quando le persone ne comprendono il motivo. Non basta dire “faremo così”. Spiega perché lo farete così. Quali valori, obiettivi o principi stanno guidando la decisione. Le persone potrebbero non essere d’accordo con la scelta, ma rispetteranno la trasparenza e il ragionamento dietro di essa.
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Distinguere tra rispetto e popolarità. Il primo è ciò che dovresti cercare, la seconda è un bonus occasionale. Essere rispettati significa che le persone riconoscono la tua integrità, competenza e coerenza, anche quando non sono d’accordo con te. Essere popolari significa semplicemente che piaci alla gente. Uno può esistere senza l’altro. Scegli sempre il rispetto sulla popolarità, se devi scegliere.
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Bilanciare fermezza ed empatia. Non dover piacere a tutti non significa diventare insensibili. La vera leadership richiede fermezza nelle decisioni ma empatia nell’esecuzione. Puoi comunicare decisioni difficili con compassione. Puoi essere risoluto senza essere freddo. Questo equilibrio è l’arte sottile che distingue i grandi leader dai semplici boss.
Insomma, la leadership non è un concorso di popolarità. Non sei e non devi essere Nutella. Se qualcuno non “ti apprezza”, non è necessariamente un fallimento – potrebbe essere semplicemente il prezzo da pagare per riuscire ad esercitare una vera leadership.
E se proprio ti manca la sensazione di essere amato da tutti, beh… c’è sempre un barattolo di Nutella da qualche parte nella tua cucina. Anche se probabilmente dovrai cercarlo, proprio come faccio io!
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe