Quella vocina nella testa con cui fare i conti; la sindrome dell’impostore
Negli ultimi giorni mi è capitato qualcosa di abbastanza curioso; nel giro di 48 ore ho partecipato a due CdA di startup, due aziende nelle quali ho investito negli anni tempo e risorse. Una di queste sta andando davvero bene; i numeri crescono, di fatto l’exit è già scritta, c’è in piano una estensione dei servizi, lo sviluppo di nuovi stream di revenue etc etc.
L’altra sarà messa in liquidazione nei prossimi giorni; eppure l’idea dietro era giusta, il settore è cresciuto enormemente in questi anni, ma qualcosa non ha funzionato.
Il primo pensiero che ho avuto è stato “ecco, lo vedi? Non sei stato bravo abbastanza. Dovevi dare più supporto al CEO, dovevi mettere in funzione con maggior frequenza il tuo network, adesso tutti scopriranno che non hai così occhio per queste cose, etcetc”. Insomma, un forte senso di vergogna. Ma poi, pensando a quella che andava bene, mi son detto “certo che va bene, ovvio che va bene. E’ facile, tutti avrebbero capito che era una storia di successo, poi i ragazzi sono bravissimi. Se anche non ci fossi io andrebbe benissimo. Se lo scoprono mi tagliano fuori”.
Ecco, l’idea di fondo è sempre … se ce l’ho fatta io, in fondo non era così difficile.
E se mi scoprono?
C’entra un pò di egocentrismo? Certo (hello, hai notato il nome di questa newsletter!?), ma in realtà c’è dell’altro. Questa tendenza a sminuire prove anche evidenti delle nostre abilità in contesti diversi ha un nome: si chiama sindrome dell’impostore. La prima volta che ne ho sentito parlare è stato 6 anni fa, capitando per caso su un Ted Talk di Valerie Young dal titolo “Thinking your way out of imposter syndrome“, super consigliato.
Si tratta di un fenomeno che colpisce molte persone, indipendentemente dal loro successo o posizione sociale e può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere generale di un individuo.
ATTENZIONE. Non è una malattia o un disturbo, ma piuttosto un’esperienza di autopercezione; le persone affette da questa sindrome vivono in uno stato di ansia costante, temendo di essere scoperte come “impostori” nonostante la loro storia, le loro reali competenze e magari anche i loro successi. La cosa che colpisce è che negli ultimi mesi/anni sempre più di frequente mi capita di parlare con ragazzi, anche molto più giovani di me, e che mi raccontanto di questa sensazione, della vergogna e di questa ansia, fortissima.
Da quando ho conosciuto il termine, da bravo secchione, ho fatto le mie ricerche e studiato; la sindrome dell’impostore è fenomeno, che affligge un numero sorprendentemente alto di individui. Fino all’82% di noi prima o poi nel corso della propria vita affrontano sentimenti simili, lottando con la sensazione di non aver guadagnato ciò che hanno raggiunto e di essere appunto un impostore. Un incredibile 94% di coloro che hanno sofferto della sindrome afferma di non aver mai condiviso questi sentimenti sul lavoro e con i colleghi, per paura del loro giudizio appunto.
Quello che ho capito è che la differenza tra coloro che soffrono della sindrome dell’impostore e coloro che non ne soffrono non è una questione di intelligenza o capacità, ma piuttosto una questione di pensiero. Gli “impostori” tendono a svalutare le proprie abilità e a vergognarsi quando commettono errori o non sanno qualcosa, mentre coloro che non si sentono impostori accettano che non possono essere brillanti in tutto e sono a proprio agio con questo dato di fatto.
Ad esempio, la grande differenza tra le persone che si sentono impostori e quelle che non lo fanno è questa: a nessuno piace fallire, a nessuno piace fare un errore, a nessuno piace non conoscere la risposta o avere un giorno no o lottare per padroneggiare una particolare area tematica. Ma quando queste cose accadono agli impostori, proviamo vergogna.
Ma perchè alcuni di noi vivono queste sensazioni ed altri no?
Perchè a me?
Sembra che questa errata percezione di se possa essere alimentata da una serie di fattori, tra cui l’ambiente familiare, l’educazione e il contesto sociale. Le persone che crescono in famiglie in cui l’unica cosa accettabile è la perfezione, o coloro che lavorano in campi altamente competitivi o creativi, possono essere particolarmente vulnerabili.
Le donne, a causa della loro tendenza ad essere orientate verso gli altri e a preoccuparsi profondamente di come gli altri le percepiscono, possono essere particolarmente suscettibili a questo fenomeno. Questo può portare a conflitti interni quando ad esempio il successo potrebbe significare allontanarsi da amici, famiglia o dalla propria comunità di origine.
Ma parliamo comunque di un fenomeno comune a tutti e a tutte le età, dagli adolescenti ai professionisti in età avanzata.
I social media (sempre loro, maledetti) possono essere in parte responsabili di questa sindrome; vedere solo la versione perfetta dei nostri amici, dei nostri colleghi, sempre rilassati, sempre sorridenti, crea inevitabilmente un senso di invidia non sano e una costante insoddisfazione di se.
Per non parlare di Linkedin; sarebbe un suicidio parlare di questi pensieri e dubbi proprio su una piattaforma per il business dove tutti condividono solo successi, risultati positivi etc, no? …
Eh!?
La profezia che si autoavvera
“Vivere” questi pensieri può essere un motore super efficace per stimolare qualcuno a fare di più, studiare di più e lavorare di più per dimostrare (a se stessi prima di tutto) di non essere un impostore. Ma subire questo tipo di pressione può portare anche ad un calo delle prestazioni sul lavoro, un calo generale della soddisfazione e al burnout (in particolare sembra che i medici possano essere più colpiti, ma non ricordo dove ho letto questa ricerca).
Ci sono quindi conseguenze misurabili per l’azienda quando le persone nei team hanno questa percezione alterata della realtà ed è facilmente comprensibile il perchè; quando ti senti come un impostore, devi trovare sempre nuovi modi per affrontare l’ansia ed ecco emergere meccanismi di autodifesa come volare sotto il radar per non essere visti, non alzare la mano per non rischiare di fare la figura dell’incompetente, ma anche non chiedere promozioni, non condividere nelle riunioni i propri spunti ed ancora procrastinare nelle scadenze etc.
Il problema di chi vive questa situazione è che si tende ad esternalizzare il giudizio di se, ad essere affamati di conferme e questo, spesso, porta a fare scelte errate, da un lato e a non goderci mai veramente quello che abbiamo dall’altro.
Insomma, una “tragedia”! Che fare?
Reframing: pensare pensieri diversi
Non ho una risposta ed in generale non mi permetto di consigliare su una materia così delicata, ma posso condividere quello che negli anni sta funzionando per me.
La mia ricetta per smettere di ascoltare la vicina ed alleggerire la pressione.
Prima di tutto mi ha aiutato capire che le persone che davvero non si sentono come impostori non sono più intelligenti o capaci di te o di me. L’unica differenza tra loro e noi è che pensano pensieri diversi. Questo è tutto, il che è una buona notizia perché significa che tutto quello che dobbiamo fare è imparare a pensare come un “non-impostore”.
I “non-impostori” sanno che non possono essere brillanti in tutto e … va bene così, sono a posto con questa idea. Il motivo per cui dobbiamo prestare attenzione alla conversazione che si svolge nella nostra testa è così che possiamo riformularla come farebbe un “non-impostore”.
In secondo luogo in questi anni ho capito l’importanza di definire il successo per se stessi. Molti individui possono sentirsi come impostori perché stanno cercando di adattarsi a una definizione di successo che non risuona con loro valori o obiettivi personali. Per quanto possa sembrare scontato forse vale la pena ricordare che il successo non deve necessariamente essere definito dal potere, dal denaro o dallo status. Può anche includere un significato più alto, l’equilibrio e le relazioni.
Parliamo di percezioni e quindi l’obiettivo deve essere cambiare il modo in cui pensiamo a noi stessi e alle nostre abilità. Dobbiamo imparare a “riformulare” i nostri pensieri in modo più positivo senza aspettarci di sentirsi sicuri di noi stessi 24/7, ma comprendendo che non è necessario sentirci sicuri per agire con sicurezza.
Quindi, se anche tu ogni tanto ti senti sopraffatto, provi vergogna o tendi a sminuire il tuo valore, prova a:
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separare i sentimenti dai fatti: riconoscere che solo perché pensi certe cose, non significa che siano vere. Se la tua mente dice: “Non so di cosa sto parlando”, ricorda a te stesso che sai più di quanto pensi e sei capace di apprendere;
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prendere nota dei tuoi successi: avere un promemoria tangibile dei tuoi successi può essere utile nei momenti in cui ti senti non adeguato al contesto. Salva le email di riconoscimento dal tuo capo o appendi sul frigo i disegni dei tuoi figli che ti elogiano come genitore.
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smettere di confrontarsi: concentrati sul misurare i tuoi stessi successi invece di confrontarli con quelli degli altri. Confrontare la tua vita con quella di un influencer sui social media, ad esempio, è una trappola per sentirsi inadeguati.
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parlare con gli altri: a volte, una buona chiacchierata con qualcuno che ti conosce e ti sostiene può aiutarti a capire che i tuoi sentimenti da impostore sono normali, ma anche irrazionali.
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chiedere una mano: un buon terapeuta può aiutarti a riconoscere i sentimenti associati alla sindrome dell’impostore e a creare nuovi comportamenti per superarli
E se tutto questo non bastasse? Beh forse può aiutare la lezione di Tom Hanks … this too shall pass!
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe