La fine dell'era dei brand (#62)

So perfettamente che l’argomento della “fine dei brand” è un tema che ciclicamente ritorna (e guarda caso sempre nel periodo post-Festival di Cannes). Per tutta la prima parte della mia carriera professionale, mi sono occupato proprio di branding da tutti i punti di vista. Ho iniziato con un focus solo digitale, poi ho allargato lo sguardo a 360 gradi, esplorando i motivi per cui le marche esistono, fino ad arrivare a scrivere diversi libri sul tema. Insomma ci ho pagato un mutuo con le marche! E però mi pare sempre più evidente, guardando al mondo in cui viviamo ed ai bisogni delle persone, che qualcosa si è rotto.
Forse irrimediabilmente!

Il tramonto dell’era del branding tradizionale

Negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un cambiamento radicale nel panorama del marketing. L’era d’oro del branding tradizionale, che ha dominato dal 1945 al 1995, sembra aver perso il suo slancio; in quei 50 anni la formula vincente era semplice:

  • prendi un prodotto mediocre,
  • lo impacchetti, metaforicamente e fisicamente, con un’aura di emozioni e associazioni positive,
  • veicoli il messaggio attraverso canali di comunicazione magari anche costosi come i media broadcast, ma super efficienti nel raggiungere una vasta audience in un tempo ridotto e .. SBAM!

Ricordi quando il 60-80% delle famiglie guardava uno dei tre principali network televisivi ogni sera? O quando la mattina dopo a scuola eravamo tutti a commentare lo stesso sketch dello stesso trio comico visto nello stesso momento? Bene. Non hai bisogno di questa newsletter per sapere che quei tempi sono ormai lontani, così come i miei capelli. Ma questa è decisamente un’altra storia.

Il punto è … quando è iniziato tutto questo?

Il formaggio è una trappola!

C’è un momento preciso in cui questa formula ha smesso di funzionare. E’ con l’avvento di Google e l’esplosione dei canali di comunicazione digitali che il ritorno sugli investimenti in branding tradizionale è drasticamente diminuito. Prima lentamente, certo, ma poi in modo sempre più deciso lasciando gli operatori del settore come sacerdoti di una religione in declino ad officiare con una fede vacillante riti svuotati di senso (e di pubblico).

Ecco perchè un pò mi fanno tenerezza i selfie degli esperti di branding che ogni anno si contendono un posto alla Google Beach di Cannes: sono come topi che corrono verso una trappola ricoperta d’oro. Pensano di aver raggiunto il formaggio, ma in realtà stanno solo inseguendo l’illusione di rilevanza in un mondo dominato da regole nuove.

Oggi, i consumatori hanno accesso a una quantità di informazioni senza precedenti. Il passaparola digitale, le recensioni online e piattaforme come Glassdoor hanno reso molto più difficile per i brand mascherare un prodotto mediocre dietro una facciata di marketing brillante.

Per dirla in modo ancora più chiaro; un brand nasce e prospera per ridurre il livello di complessità nella vita delle persone. E’ l’unico motivo per cui il figlio di Vuitton decise di mettere il suo logo sui bauli più di un secolo fa. Ma se questa è la sua ragione d’essere, come può oggi una marca competere non dico con un motore di ricerca che già è molto complesso, ma con ChatGPT?

La risposta è dentro di te!

Forse la risposta la dobbiamo cercare altrove. Forse, in un mondo così ricco di opportunità e di contenuti di marca, è proprio il prodotto ad essere il vero re. Ed in effetti gli esempi che abbiamo intorno sembrano confermare questo. Le aziende che hanno registrato la crescita più impressionante nell’ultimo decennio hanno infatti una cosa in comune: non fanno (o fanno pochissima) pubblicità tradizionale. Pensate a giganti come Netflix, Tesla, Google o OpenAI. Il loro successo è basato sulla qualità del prodotto e sull’innovazione, non su costose campagne pubblicitarie. Le persone riconoscono a questi servizi la capacità di semplificare la loro la vita in modi che forse neanche immaginavano possibili. Ed è proprio questo quello che una volta faceva il brand. Sbaglio?

Ma c’è anche una controprova: fateci caso, le risorse che fino a qualche tempo fa erano destinate al branding vengono ora reinvestite in aree come la supply chain, la produzione di contenuti di qualità e l’innovazione tecnologica. Amazon, ad esempio, ha rivoluzionato il settore investendo massicciamente nella logistica per offrire consegne rapide e gratuite. Netflix ha puntato sulla produzione di contenuti originali di alta qualità. Queste aziende hanno capito che nell’era dell’informazione, un prodotto eccezionale si vende da solo.

Ma allora, a che serve oggi il branding?

E a cosa serve una figura come il Chief Marketing Officer?

Un nuovo ruolo

Se tutto questo è vero mi pare chiaro che anche il ruolo del Chief Marketing Officer debba cambiare radicalmente. Non si tratta più solo di creare campagne pubblicitarie accattivanti, ma di ripensare l’intero approccio al mercato toccando inevitabilmente anche il prodotto/servizio e il suo sviluppo. I CMO di successo oggi sono quelli che sanno integrare marketing, tecnologia e analisi dei dati per creare, appunto, esperienze cliente superiori, guidare l’innovazione di prodotto… e si certo, fatturare di più!

Attenzione però: dire che l’era del branding tradizionale è finita non significa che i brand non abbiano più importanza. Al contrario, i brand forti continueranno ad avere un valore enorme. La differenza è che oggi un brand forte si costruisce principalmente attraverso esperienze cliente eccezionali, prodotti innovativi e un autentico impegno verso i valori che il brand rappresenta.

Non ti basta raccontare la storia, la devi vivere!

Ecco perchè, guardando al futuro, vedo emergere un nuovo tipo di branding, più autentico e basato su valori reali. I consumatori ad esempio sono sempre più attenti all’impatto sociale e ambientale delle aziende. I brand che sapranno dimostrare un impegno genuino in queste aree, supportato da azioni concrete e non solo da belle parole, saranno quelli che prospereranno nel lungo termine.

Quindi mentre è indubbio che l’era del branding tradizionale si stia avviando verso il tramonto, è altrettanto indubbio che stiamo entrando in un’epoca entusiasmante di maggiore autenticità e responsabilità. Per i marketer e i leader aziendali, questa è un’opportunità di reinventare il modo in cui creiamo e comunichiamo il valore. Il futuro appartiene a chi saprà adattarsi a questo nuovo paradigma, mettendo al centro l’innovazione, l’esperienza cliente e valori autentici.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe