Le vere bugie (#45)


Internet è un posto fantastico e terrificante; a portata di click puoi trovare un corso gratuito sul machine learning e con la stessa facilità finire in una community di terrapiattisti. Questa capacità di persone apparentemente razionali di credere a cose del tutto irrazionali mi ha sempre affascinato e lasciato perplesso allo stesso tempo. Anche perchè, è evidente, c’è un solo modo per essere razionale, ma ci sono milioni di modi per essere irrazionali.

Nelle ultime settimane, mi sono imbattuto in un libro che affronta proprio questo tema: “Misbelief: What Makes Rational People Believe Irrational Things” di Dan Ariely, professore di psicologia ed economia comportamentale alla Duke University. In sintesi il libro esplora proprio i meccanismi psicologici che ci portano a sviluppare convinzioni errate nonostante l’evidenza contraria.
Quindi? Perchè crediamo a vere e proprie bugie?

Stress e disinformazione

Dagli studi fatti pare che ci sia un legame molto forte tra stress e la nostra vulnerabilità alle fake news e alle teorie complottiste. In momenti di grande incertezza e pressione, come quelli che abbiamo vissuto negli ultimi anni tra pandemia, crisi economica e conflitti internazionali, tendiamo a cercare spiegazioni semplici e rassicuranti, anche se non necessariamente vere.

Insomma, sembra che di fronte a un mondo che non comprendiamo appieno, siamo tendenzialmente attratti da storie che ci diano un senso di controllo, che individuino un colpevole per i nostri mali. E più queste storie sono complesse e articolate, più sembrano convincenti, perché ci danno l’illusione di possedere una conoscenza superiore.

Ma lo stress da solo non basta a spiegare la nostra propensione a credere a informazioni false. Entra in gioco anche un altro fattore: la mancanza di una rete di supporto, una sorta di “assicurazione sociale”. Sappiamo di poter contare su qualcuno se le cose vanno male?

Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui i legami sociali si stanno indebolendo, in cui la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici. Ci sentiamo soli e vulnerabili, e questo ci rende ancora più suscettibili a credere a chi ci promette certezze e soluzioni facili.

L’illusione della conoscenza

Un altro concetto affascinante che emerge nel libro è quello che Ariely chiama “l’illusione della profondità esplicativa” (nella versione originale “illusion of explanatory depth”). In pratica, tendiamo a sopravvalutare la nostra comprensione di fenomeni complessi, dalla politica internazionale al funzionamento di un banale sciacquone.

E’ un’illusione ci porta a essere eccessivamente sicuri delle nostre opinioni e poco disposti ad ascoltare punti di vista diversi. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci rendiamo conto che la nostra conoscenza è spesso superficiale e lacunosa. Ecco che allora riconoscere i limiti del nostro sapere può essere il primo passo per un dialogo più aperto e costruttivo.

Ma come possiamo combattere la disinformazione e promuovere un dibattito sano nella nostra società?

Empatia: ancora tu!

Secondo Ariely, la chiave sta nell’empatia; invece di affrontare chi la pensa diversamente come un nemico da sconfiggere, dovremmo infatti sforzarci di capire le ragioni profonde delle loro convinzioni.

Spesso, dietro a un’opinione che ci sembra assurda o pericolosa, ci sono bisogni emotivi reali: il desiderio di appartenenza, di sicurezza, di essere ascoltati e compresi. Se riusciamo a sintonizzarci su questi bisogni, possiamo trovare un terreno comune da cui partire per un dialogo costruttivo.

Non si tratta di rinunciare alle nostre convinzioni o di relativizzare la verità, ma di riconoscere la complessità del mondo e delle persone. Di ammettere che nessuno ha il monopolio della ragione e che tutti abbiamo qualcosa da imparare dagli altri.

Insomma, lo ammetto, avevo iniziato a leggere questo libro per capire cosa c’è di sbagliato in chi crede in assurde teorie complottiste e l’ho finito pensando che forse sono proprio io a dover cambiare atteggiamento. Come?

Beh la prossima volta che mi troverò a discutere con qualcuno che la pensa diversamente da me, proverò a mettere da parte per un momento le mie certezze. Fare domande, cercare di capire da dove viene la persona che ho davanti, quali sono le sue paure e le sue speranze. Non per forza per cambiare idea, ma per allargare i miei orizzonti.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe