La scorsa settimana ho partecipato ad una conferenza sull’AI (non è una vera settimana di lavoro senza una conferenza sull’AI). In questo appuntamento ho avuto l’occasione di ascoltare il CEO di un’azienda molto nota che ci ha raccontato come il loro ambizioso progetto di implementazione dell’AI, sul quale avevano investito centinaia di migliaia di euro e fatto annunci in pompa magna sui media nazionali, fosse fallito miseramente.
Il motivo? Avevano pensato che bastasse avere la tecnologia migliore, i data scientist più brillanti, il solito vendor di tecnologia (quello che se lo scegli non sbagli) e avevano lanciato il programma pensando che tutto si sarebbe sistemato ed il successo fosse praticamente assicurato.
Spoiler: non è così!
Tech Driven?
La storia di questo CEO, molto visibile e concreta, mi ha fatto tornare in mente quando, anni fa, mi sono trovato a gestire il mio primo grande progetto IT. Ero giovane (avevo i capelli per dirne una), ero entusiasta e completamente sicuro di aver scelto la migliore soluzione tecnologica sul mercato e che il successo fosse garantito. Come potete immaginare, è stato un disastro. Non perché la tecnologia non funzionasse, ma perché non avevamo considerato l’elemento più importante: le persone.
In questi mesi sto vedendo lo stesso errore ripetersi in molte aziende che si approcciano all’AI. C’è questa convinzione che basti comprare l’accesso ai migliori Large Language Model, assumere qualche esperto di prompt engineering e il gioco sia fatto.
La realtà è che l’implementazione dell’AI è come piantare un giardino: non basta avere i semi migliori e gli attrezzi più costosi, devi preparare il terreno, curare le piante ogni giorno e, soprattutto, avere pazienza. È un processo che richiede di ripensare il modo in cui le persone lavorano, collaborano e creano valore. La tecnologia è solo uno degli ingredienti, non la ricetta completa.
Ed ignorare l’ingrediente fondamentale, le persone appunto, è la premessa per un sicuro fallimento!
Il paradosso della paura
C’è poi un altro elemento che spesso viene sottovalutato in questi processi di trasformazione ed è uno dei tratti più semplici e basici della natura umana: la paura. Non quella generica del “l’AI ci ruberà il lavoro“, ma quella più sottile e insidiosa del “non sono abbastanza bravo per usare questi strumenti“.
Il paradosso è che più le persone usano l’AI, meno ne hanno paura. Ma per iniziare a usarla devono prima superare quella paura iniziale, irrazionale, ma fortissima che è alimentata da tutto il rumore ed il clamore. Le cose in realtà sono molto più semplici: è come quando da bambini impariamo ad andare in bicicletta! All’inizio sembra impossibile mantenere l’equilibrio, poi diventa così naturale che non ci pensiamo nemmeno più.
Ho visto team interi trasformarsi dopo aver superato questa barriera iniziale, sporcandosi le mani e imparando che esiste un modo diverso di fare le cose.
Un esempio? Un gruppo di analisti per un nostro cliente è riuscito ad automatizzare il 70% del proprio lavoro ripetitivo. La parte interessante? Non hanno ridotto il team, ma hanno aumentato la copertura delle aziende analizzate e approfondito la qualità delle analisi. È come se l’AI avesse liberato la loro creatività, permettendogli di concentrarsi sugli aspetti più interessanti e stimolanti del loro lavoro togliendo di mezzo la parte noiosa e senza valore.
50.000 persone AI-enabled entro il 2025
C’è una slide che uso di solito negli incontri con i clienti per presentarmi; oltre a raccontare chi sono, cosa faccio e da dove vengo, negli ultimi tempi ho inserito anche la mia missione.
Aiutare almeno 50.000 persone in Italia a conoscere ed usare l’AI nel proprio quotidiano.
Una sciocchezza insomma; ma come si fa concretamente a portare migliaia di persone a utilizzare l’AI nel loro lavoro quotidiano in un contesto complesso come quello di un’azienda? La risposta che ho visto funzionare meglio è: un passo alla volta, ma tutti insieme.
Il segreto sta nel creare un programma strutturato che combini:
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Una formazione di base per tutti (2-3 ore di training personalizzato per l’azienda);
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Sessioni pratiche in presenza per i top manager (il famoso “leading by example”);
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La creazione di un “AI Council” con rappresentanti di ogni area;
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Un sistema di incentivi che premi chi sperimenta e innova.
L’esperienza mi ha insegnato che proprio gli incentivi sono cruciali. Non aspettatevi che le persone vi dicano spontaneamente che ora completano il loro lavoro il 30% più velocemente per poi usare quel tempo per fare altro lavoro gratuito. Bisogna creare un sistema che premi l’innovazione e la condivisione delle best practice. Diversamente miglioriamo la produttività del singolo, ma senza che questo si traduca in un miglioramento per l’intera organizzazione.
Non si tratta solo di insegnare alle persone come scrivere prompt (che tra l’altro, sono convinto diventerà presto obsoleto come skill se già non lo è), ma di aiutarle a immaginare come questi strumenti possano rendere il loro lavoro più interessante e gratificante e perchè no… diverso!
È fondamentale poi che questo processo parta dall’alto. Se i leader passano il tempo a fare discorsi sull’AI, ma non la usano mai, è come un genitore che dice ai figli di mangiare le verdure mentre ordina un hamburger.
E dio solo sa quanti imprenditori e CEO ancora si fanno stampare le mail dalle segretarie prima di rispondere…
Il cambiamento deve essere visibile e tangibile.
Non se, ma quando!
Come mi ha detto recentemente un amico CTO in una azienda italiana: “Non puoi permetterti di arrivare tardi a questa festa“. Eh già, perchè qui è un pò come internet negli anni ’90: puoi decidere di essere tra i primi o tra gli ultimi, ma non puoi decidere di non esserci.
La differenza la farà il come decidiamo di implementarla. Se ci focalizziamo solo sulla tecnologia, falliremo. E’ provato!
Se invece mettiamo le persone al centro, ma sul serio, creando un ambiente dove possano sentirsi sicure di sperimentare, sbagliare e imparare, allora non solo avremo successo, ma creeremo organizzazioni più forti e resilienti anche grazie alla tecnologia.
Come sempre, qui l’obiettivo non è sostituire le persone con l’AI, ma permettere loro di concentrarsi su ciò che le rende uniche: la creatività, l’empatia, la capacità di vedere collegamenti inaspettati. Come dice un mio amico professore: “Non stiamo cercando i prossimi 10x programmatori, stiamo cercando persone che sappiano unire la tecnica con la creatività”.
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe