SONG OF THE WEEK: Another Brick in The Wall (Pink Floyd)
Qualche giorno fa l’amico Matteo Flora mi ha invitato nel suo programma su TGCOM per un’intervista sulle tematiche di AI e futuro del lavoro. Dopo la newsletter della scorsa settimana, dove abbiamo parlato dei ruoli junior in azienda, la chiacchierata con Matteo mi ha fatto pensare invece allo step prima, ovvero all’impatto che l’AI avrà e forse già ha non solo sul lavoro, ma anche sull’educazione.
Mi son tornati in mente i miei anni di liceo, primi anni ’90, quando dietro enormi tubi catodici passavo ore a creare formule su Lotus123. All’epoca il dibattito era se permettere o meno l’uso della calcolatrice scientifica durante i compiti in classe. Oggi parliamo di ChatGPT che scrive saggi e risolve integrali.
Che tempi!
In che presente viviamo?
Oggi i nostri figli continuano a studiare seguendo metodologie e modelli del secolo scorso, come se nulla fosse cambiato. È come se stessimo preparando i nostri ragazzi per un mondo che non esiste più. Assurdo, no?
Dall’altra parte la domanda che tutti ci poniamo è… ma se lasciamo che i ragazzi utilizzino l’AI per fare i compiti li stiamo aiutando a barare? Credo questa sia la domanda sbagliata. E ti spiego perché.
La vera domanda oggi dovrebbe essere: stiamo dando ai ragazzi i compiti giusti?
Se un’AI può svolgere perfettamente un compito – che sia scrivere un tema sulla Rivoluzione Francese o risolvere un’equazione differenziale – probabilmente quel compito non è più adatto a misurare l’apprendimento nel mondo di oggi.
Il punto allora potrebbe essere ad esempio ripensare il modo in cui strutturiamo le verifiche e le esercitazioni.
Ti faccio un esempio pratico: invece di chiedere a uno studente di scrivere un tema sulla Rivoluzione Francese, potremmo chiedergli di:
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Analizzare criticamente l’output di ChatGPT sullo stesso argomento
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Identificare potenziali bias o errori nelle risposte dell’AI
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Utilizzare l’AI come strumento di brainstorming per sviluppare una propria tesi originale
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Spiegare e difendere le proprie scelte nell’uso dell’AI per quel particolare compito.
Sembra qualcosa di piccolo, ma in realtà, seguendo questo approccio, dovremo forse ripensare integralmente il sistema educativo. Provo a spiegarmi.
Oltre il modello industriale
Il nostro attuale sistema scolastico non è giusto o sbagliato in astratto, ma è di certo frutto del mondo in cui è nato ed è rimasto ancorato a un modello che aveva sicuramente senso per un’altra epoca, la rivoluzione industriale.
Un sistema basato sulla standardizzazione, sulla divisione in classi per età (come se tutti maturassimo allo stesso ritmo!), sulla valutazione attraverso test standardizzati.
Pensaci un attimo: aule organizzate in file ordinate, campanella che suona a intervalli regolari, materie compartimentalizzate, voti numerici. Vi ricorda qualcosa? Sì, esatto: una fabbrica. Il sistema è stato letteralmente progettato per preparare i lavoratori all’ambiente di fabbrica.
Ma il mondo là fuori non funziona più in questo modo. Le aziende non cercano persone che sanno eseguire procedure standardizzate – per quello ci sono i computer. Cercano persone che sanno:
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Fare le domande giuste
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Vedere connessioni inaspettate
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Immaginare soluzioni non convenzionali
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Adattarsi a situazioni nuove
E la cosa assurda? I bambini sono naturalmente portati per tutte queste cose! Hanno una curiosità innata, una creatività senza limiti, una capacità di adattamento incredibile. Il nostro sistema educativo, invece di coltivare questi “super poteri”, spesso finisce per soffocarli.
La domanda che dovremo porci oggi, in questo mondo radicalmente diverso, non è quindi più “come possiamo fare in modo che tutti gli studenti raggiungano lo stesso standard?“, ma “come possiamo aiutare ogni studente a sviluppare il proprio potenziale unico?“.
Da dove iniziare?
Proprio osservando le mie figlie ho iniziato a sviluppare alcune idee concrete su come affrontare questa transizione. Non sono ricette magiche, ma punti di partenza pratici che sto sperimentando personalmente.
Se sei un insegnante: Non temere l’AI, abbracciala! I tuoi studenti la useranno comunque, tanto vale farlo insieme e in modo costruttivo. Come mi ha detto una professoressa di italiano: “Ho smesso di dare temi tradizionali. Ora chiedo ai ragazzi di scrivere una storia e poi di difenderla oralmente, spiegando le loro scelte narrative“. Geniale, no?
Se sei un genitore: Ti do una scadenza precisa: 30 giorni per diventare AI-competente. Non serve diventare un esperto, ma devi capire gli strumenti base. È come quando hai imparato a usare WhatsApp per restare in contatto con i tuoi figli – ricordi quanto ti sembrava difficile all’inizio?
Se hai figli in età scolare: Crea momenti “tech-free” in famiglia. Nella mia esperienza, la cena deve essere sacra: niente telefoni, niente AI, solo conversazione umana. È più difficile di quanto sembri (soprattutto per noi genitori), ma è fondamentale.
Nessuno di noi ha tutte le risposte, ma non possiamo permetterci di aspettare di averle. Come dico sempre a #figlia2 quando quando cade dalla spalliera che le abbiamo montato in camera (lo so… non commentare) “il peggior tentativo è quello che non fai“.
E forse è proprio questo l’insegnamento più importante che possiamo dare ai nostri ragazzi: non avere paura di sperimentare, di sbagliare, di imparare. L’AI è solo l’ultimo di una lunga serie di cambiamenti tecnologici che l’umanità ha affrontato. E come sempre, non è la tecnologia in sé a fare la differenza, ma come scegliamo di utilizzarla.
Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe