Capricci costosi (#12)


Comprato per 44mld$ in pochi mesi Twitter ha perso un terzo del suo valore, il 60% dei ricavi pubblicitari e adesso … anche l’uccellino.

Potrei definirimi tranquillamente un uomo pieno di vizi; adoro ascoltare musica in vinile, mi piace bere vino rosso e mangiare bene (devo ridurre la carne, ora lo so) e non disdegno i gadget tecnologici da Apple in giù. E però il buon Elon Musk, in questo come in molto altro, è davvero di un’altra categoria.

Questa settimana abbiamo assistito ad una delle più importanti (e controverse) azioni di re-branding della storia; Twitter ha detto addio al suo logo e al suo nome per fare spazio a X. L’idea è che questo possa rappresentare l’inizio dell’evoluzione della piattaforma che nella visione di Musk dovrebbe diventare la “everything app”; non solo social, ma anche pagamenti, commerce etc (WeChat anyone?!).
Ma poi alla fine a che serve un brand?

Antidoto alla complessità

Le marche esistono nella vita delle persone per ridurre il livello di complessità; viviamo ogni giorno immersi in contesti dove siamo bombardati di messaggi e di alternative. Scelte che drenano energie e risorse; le marche, anche nell’epoca dell’AI, hanno un ruolo fondamentale, perchè sono di fatto una scorciatoia che ci aiuta non solo a scegliere, ma anche ad orientarci in un contesto sempre più frammentato e incerto.

Le aziende e le istituzioni con cui lavoro ogni giorno attuano ogni possibile forma di protezione e controllo sul proprio marchio, proprio perchè questo rappresenta uno degli asset più importanti, anche se intangibile, ed è fondamentale per far crescere il valore percepito di un offerta e definire il suo posizionamento rispetto al mercato.

Il brand Twitter non fa differenza; in poco meno di 20 anni è diventato sinonimo di notizie in tempo reale, di costante aggiornamento e la parola stessa tweet è diventata di uso comune, ma non solo. Ogni giorno decine di milioni di siti hanno contribuito a rafforzare questo percepito di marca posizionando il piccolo uccellino blu, logo di Twitter, nelle proprie pagine e nelle proprie properties confermando così la centralità del brand nei discorsi di marca e, in particolare nelle conversazioni con i giornalisti (conversazioni che Elon non ha mai apprezzato molto a dire il vero). Un valore di visibilità “organico” che non ha prezzo e del quale ora Musk ha deciso, semplicemente, di fare a meno.
Ma perchè?

“Il pallone è mio e gioco io!”

Quando sei l’uomo più ricco del mondo puoi permetterti, è il caso di dirlo, di fare un pò quello che vuoi con le cose che compri. Ed è così che nel giro di poche ore Twitter ha smesso di esistere ed ora è X. Come la lettera dell’alfabeto. Come il simbolo dell’ignoto. Come il dominio X.com che Musk possedeva da decenni e che finalmente ha trovato un suo uso e, forse, una sua visione ed un suo scopo. Ma questo cambiamento non è stato così semplice come cambiare una lettera; ha scatenato un vero e proprio terremoto nel mondo digitale e non solo.

Il rebranding è stato annunciato solo un giorno prima della sua attuazione, lasciando poco tempo per prepararsi al cambiamento e forse anche per capirlo. Musk ha detto che il cambio di nome sarebbe avvenuto solo se il logo fosse stato abbastanza buono e vedendo il risultato… . Ma molti si chiedono se questa decisione sia stata davvero ponderata o se sia stata presa su un capriccio.

Il termine “tweet” è ancora presente in tutto il sito e per diverse ore il dominio X.com ha continuato a reindirizzare verso una pagina di GoDaddy. La X su uno sfondo nero non ha lo stesso impatto visivo del famoso uccellino di Twitter. Inoltre, il design sembra essere stato realizzato senza una vera e propria strategia di branding. Il risultato è un logo che non rispecchia l’identità della piattaforma e che non è all’altezza del suo predecessore.

Questi dettagli sembrano indicare una mancanza di pianificazione e di considerazione per l’impatto del cambio di nome sul valore del marchio; una scelta d’impulso che fa perdere valore, ancora, all’azienda, con una visione di lungo periodo tutta da chiarire

Attenzione; non è il primo rebranding importante dell’era digitale. Abbiamo già assistito ad almeno due grandi momenti di passaggio per aziende che fanno parte della nostra quotidianità. Google e Facebook negli ultimi anni hanno scelto di separare il brand del proprio prodotto di punta, il motore di ricerca e la piattaforma social, da quello dell’azienda, ma nel loro caso questa decisione è stata presa con tempi decisamente più lunghi, passando per il coinvolgimento degli azionisti e del board, con una strategia decisamente chiara (B2B vs B2C) e con una precisa visione di posizionamento (pensa ad esempio a Meta).

GENIO!

Come direbbe Renè Ferretti, non tutti hanno criticato questa scelta, anzi. In molti l’hanno definita la cosa giusta al momento giusto. E vale di sicuro la pena ricordare che con Tesla Musk ha dimostrato negli ultimi anni come sia possibile creare un brand di enorme valore senza un euro investito nella pubblicità tradizionale.

Però questa volta non so cosa pensare; il cambio di nome di Twitter in “X” sembra essere più un capriccio che una mossa strategica o coraggiosa e questa scelta inevitabilemente fa riflettere sulla sua gestione più in generale (con i licenziamenti etc) e sul futuro di “X”.
Solo il tempo dirà se questa mossa si rivelerà un successo o un costoso errore.

Il cambiamento è sempre spaventoso, a volte, come qui, può essere anche disordinato e confuso, ma è anche un’opportunità per innovare, per sperimentare, per creare qualcosa di nuovo.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!
Giuseppe