Dallo spot al p…rompt (#8)


Dal Festival della Creatività di Cannes alle strategie innovative di Ryan Reynolds, stiamo assistendo a un cambiamento epocale nel mondo della pubblicità.

Il tema del futuro della pubblicità è qualcosa che mi affascina da sempre; il primo libro che ho scritto nel 2015 si chiamava “Dallo Spot al Post – La pubblicità dopo i social media” e parlava proprio di come, lentamente, ma progressivamente la natura stessa del contenuto pubblicitario stesse cambiando. L’idea di fondo era molto semplice: l’età dell’oro della pubblicità di massa è di fatto finita, sostituita da un approccio che deve necessariamente essere più personalizzato e mirato.

I social insomma hanno segnalo l’inizio di una evoluzione del messaggio pubblicitario da monologo, lento e chiuso ad un dialogo, veloce e ricco; ricco di dati, di valore e anche di partecipazione da parte di un pubblico che non è più solo “consumatore”, ma è sempre più attore ed in alcuni casi vuole essere protagonista.

Ma questa cosa nuova, che usa strumenti nuovi e grammatiche nuove, la possiamo chiamare ancora “pubblicità”?

News da Cannes!

Quella di quest’anno è stata la 70esima edizione del Festival della creatività; non è solo la location che rende Cannes speciale. È l’interazione tra le persone, le conversazioni casuali e le relazioni che si formano che rendono la conferenza un evento imperdibile. E’ l’opportunità di vedere come le menti più brillanti del settore stanno ridefinendo il modo in cui raccontiamo storie e coinvolgiamo il pubblico.

Questa è stata un’edizione ricca per l’Italia se si considera un aumento del 13% nelle iscrizioni rispetto all’anno precedente che ha portato 511 progetti in gara e 21 premi in totale (anche se qui, sbagliando conteggiamo SMALL come agenzia italiana, ma super-bravi Luca&Luca).

Nell’insieme c’è una crescente consapevolezza che il settore pubblicitario deve fare di più per rimanere rilevante. Le aziende più tradizionali, come WPP e IPG, stanno cercando di dimostrare la loro centralità in un mondo che sta diventando sempre più digitale. Allo stesso tempo, le aziende più giovani e tecnologiche, come Meta e Google, stanno cercando di posizionarsi come partner offrendo non solo strumenti e canali distributivi, ma anche formazione, conoscenza e supporto.

Ma c’è un tema su tutti ha dominato le conversazioni sul lungomare quest’anno…

Un ai-utino?

L’intelligenza artificiale è entrata ufficialmente anche nel mondo della pubblicità e del branding portando a una trasformazione radicale del modo in cui i marchi si presentano e interagiscono con il pubblico; i messaggi e le campagne tradizionali sembrano di colpo obsoleti, sostituiti da contenuti speciali e progetti che, pur avendo una finalità promozionale, si presentano in forme diverse, spesso mascherate o travestite.

Se prendiamo ad esempio il processo di e-commerce è evidente come oggi il focus sia passato da solo transazionale a conversazionale; grazie all’AI è infatti possibile avere conversazioni naturali tra brand e persone, offrendo non solo nuovi servizi, ma anche una interazione più ricca ed amichevole. Questo cambia radicalmente l’interazione tra marchi e consumatori, rendendola più personale e coinvolgente.

Ma l’AI, grazie a software e strumenti facili e potenti, riduce anche le distanze tra una idea e la sua esecuzione e consente a tutti di creare un nuovo brand con costi davvero limitati sia per quello che riguarda l’ideazione sia per la promozione e distribuzione del messaggio rendendo di colpo il mercato molto più competitivo ed affollato. Insomma, una volta si diceva che era il “sesso” a vendere in pubblicità, adesso sembra che abbiamo sostituito il “sesso” con gli algoritmi con conseguenze non sempre positive: ad esempio la polarizzazione che ne deriva … ma è un tema per un’altra newsletter.

Questo vuol dire che siamo condannati ad essere schiavi dei dati e dell’algoritmo?

Un supereroe ci salverà

Fortunatamente non c’è solo il digitale e la tecnologia a ridefinire i modelli di creazione di valore della pubblicità; lui non è un direttore creativo, non è un guru del marketing (anzi da alcuni viene visto con diffidenza) e però è quasi un supereroe…

Ryan Reynolds, celebre per il suo ruolo di Deadpool, ha saputo reinventarsi come uno dei creator (la parola ormai è sdoganata) più influenti nel mondo della pubblicità dimostrando un talento unico per la creazione di contenuti che catturano l’attenzione del pubblico e hanno la capacità di essere virali.

La sua avventura nel settore della pubblicità è nata più per caso che per un disegno preciso; Reynolds ha infatti passato 10 anni a cercare di realizzare il film Deadpool ed ha dovuto utilizzare strategie di marketing innovative e non ortodosse per ottenere il via libera da Hollywood come la “fuga” di filmati di backstage e altre tattiche non esattamente ortodosse.

Proprio la sua capacità di comprendere cosa risuona con il pubblico e di creare contenuti che siano sia divertenti che coinvolgenti ha dato origine ad una serie di successi notevoli al cinema e non solo!

Oggi, Reynolds è il proprietario di Aviation Gin, Mint Mobile (di recente ha ceduto la maggioranza) e del club di calcio professionistico più antico del mondo, il Wrexham per il quale ha realizzato un docufilm su Netflix che ha già raggiunto la seconda stagione (ed anche la promozione in campionato).

Insomma, un esempio di come la creatività, l’ingegno e una comprensione profonda del pubblico possano portare al successo anche senza AI e l’utilizzo intensivo della tecnologia o di algoritmi.

Ma questa cosa si chiama ancora “pubblicità”?

Un nuovo nome per la “pubblicità”?

Secondo Wikipedia per “pubblicità” si intende una  “forma di comunicazione di massa usata dalle imprese per creare consenso intorno alla propria immagine, con l’obiettivo di conseguire i propri obiettivi di marketing (es. vendita di prodotti).” Se questa è la definizione allora forse bisogna dar ragione a Scott Galloway; “advertising, has become a tax that the poor and technologically illiterate have to pay“.

È evidente che però qui stiamo parlando di qualcosa di diverso; è intrattenimento e coinvolgimento se pensiamo a quello che sta combinando Ryan Reynolds, ma è anche efficienza, produttività ed insight se pensiamo all’intelligenza artificiale ed in più non ci poniamo solo l’obiettivo di creare consenso, ma anche di raccogliere dati, individuare tendenze, testare un’offerta etc etc.

La rivoluzione che stiamo vivendo è in realtà un’opportunità straordinaria per reinventare il modo in cui le aziende comunicano con il loro pubblico; non è più solo un mezzo per vendere prodotti, ma un modo per creare relazioni, condividere storie e coinvolgere il pubblico in un viaggio con il marchio.

Come dicono quelli bravi “le rivoluzioni iniziano dal linguaggio” e allora forse è il momento di trovare un nuovo nome per questa forma di comunicazione … sperando di essere più fortunati di quello che ha fatto Facebook con Meta.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe