Empatia artificiale (#48)


Può l’AI capire davvero le nostre emozioni? Ed interagire con noi attraverso le emozioni stesse? E cosa significa questo per il business, la vita e tutto quanto?

Questa settimana ho avuto un interessante incontro con la leadership di una importante GDO italiana; abbiamo parlato di Intelligenza Artificiale e delle sue potenzialità, ovviamente, ma mentre ci confrontavamo su questi temi mi sono accorto che mancava qualcosa nel discorso.

C’è un altro tipo di intelligenza, altrettanto cruciale nel business così come nella nostra vita: l’intelligenza emotiva. È la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le nostre emozioni e quelle degli altri. È ciò che ci permette di creare legami autentici, di provare empatia appunto, di comunicare in modo efficace. In poche parole, è ciò che ci rende umani. Forse?

Primi passi

L’AI che conosciamo e che stiamo iniziando ad usare ogni giorno sta facendo passi da gigante nell’imitare e superare l’intelligenza cognitiva umana. In parte questa tecnologia è stata già impiegata, da decenni ormai, nell’analisi delle “emozioni” in forme e modalità diverse; ricordo ad esempio il primo progetto che ho seguito direttamente di “sentiment analysis” ormai quasi 15 anni fa.

Il cliente era … CEI (si si, proprio la Conferenza Episcopale Italiana); in quel caso il tema era capire per quale motivo negli ultimi tempi le donazioni dell’8×1000 fossero in costante calo e, con discreto stupore, proprio l’analisi delle conversazioni online tramite intelligenza artificiale ci aveva permesso di cogliere un angolo inatteso. In sintesi: nello spot che veniva rilanciato ogni anno c’era una parola legata ai sacerdoti che irritava molto il pubblico: stipendio. L’idea di dare uno stipendio a qualcuno evidentemente non piaceva …

Tutto qui? Quindi con l’intelligenza artificiale possiamo solo “comprendere” le emozioni delle persone e magari analizzarle?

Non proprio!

Prossima frontiera; empatia!

Ilya Sutskever, uno dei co-founder di OpenAI, ha dichiarato qualche tempo fa: “Più miglioriamo i nostri modelli generativi, più loro avranno un sorprendente livello di comprensione del mondo e di molte delle sue sottigliezze.” 

Ancora una volta, il punto di differenziazione in queste tecnologie, rispetto al passato, è quindi proprio la capacità di generare/interpretare/interagire. Fino ad ora la maggior parte di noi ha sperimentato strumenti di AI text-to-text o text-to-image per generare testi o immagini, ma cosa succede quando passiamo per esempio ad un media più ricco di personalità e di carattere come l’audio?

Ad esempio, negli ultimi giorni Hume AI ha rilasciato in demo un tool … stupefacente! È la prima Interfaccia Vocale Empatica (o EVI), un sistema di AI conversazionale con intelligenza emotiva. Da provare!

EVI comprende infatti non solo il contenuto, ma anche il tono di voce unico della persona e la sua “emozione” espressa e utilizza queste informazioni per rispondere ed interagire mantenendo lo stesso livello di empatia. Questo sistema può quindi rispondere alle nostre domande con tono di voce simile a quello umano, ma, soprattutto, coerente con quello che stiamo adoperando noi nell’interazione. In più:

  • sa quando parlare, perché utilizza il tuo tono di voce anche per interpretare la fine del tuo discorso;

  • si ferma se viene interrotta, ma può sempre riprendere da dove aveva lasciato o integrare sulla base dei contenuti, e dei toni che hai utilizzato;

  • naturalmente, include una trascrizione veloce e affidabile della conversazione e può collegarsi a qualsiasi LLM.

Pro e Contro

L’avvento di sistemi così potenti e così realmente … empatici apre scenari tanto affascinanti quanto delicati. Da un lato, ad esempio, le potenzialità in campo medico e assistenziale potrebbero essere enormi.

Uno strumento come EVI potrebbe assistere bambini e individui che faticano a leggere, fornendo loro un supporto vocale che suona autenticamente umano. Alla Brown University, i ricercatori stanno già esplorando l’uso di questa tecnologia per aiutare persone con condizioni degenerative del linguaggio a riacquistare la capacità di parlare.

Pensiamo anche al valore che potrebbe avere questa tecnologia per contrastare l’isolamento sociale degli anziani, specialmente quelli affetti da malattie degenerative come l’Alzheimer. Un’assistente vocale empatica potrebbe fornire loro compagnia, stimolazione cognitiva e supporto emotivo, alleviando in parte il carico su familiari e caregivers.

Ma d’altro canto, tecnologie simili richiedono anche una grande responsabilità e prudenza nell’uso. Specialmente in un anno elettorale come quello che stiamo vivendo, il rischio potenziale è significativamente alto. Pensa al deepfake audio di politici che sembrano esprimere empatia e vicinanza per l’elettore, o chatbot che sfruttano l’intelligenza emotiva per manipolare l’opinione pubblica.

Per mitigare queste preoccupazioni, si stanno esplorando diverse idee, come la filigrana digitale, che segnalerebbe agli ascoltatori la natura generata dall’intelligenza artificiale di un clip audio. Inoltre, sta considerando di limitare l’uso di voci specifiche, come quelle di politici e celebrità. Ma sarà sufficiente?

C’è poi il tema più ampio dell’impatto sull’autenticità delle relazioni umane. Se possiamo avere conversazioni empatiche con un’AI, questo potrebbe ridurre il nostro bisogno e la nostra capacità di connetterci autenticamente con altri esseri umani? Potrebbe creare una dipendenza emotiva da entità artificiali?

E ora?

Ho iniziato questa riflessione parlando dell’incontro fatto con i colleghi che lavorano nella grande distribuzione organizzata; è chiaro che questo è un settore che tocca la vita di milioni di persone ogni giorno. È un’interfaccia costante tra aziende e consumatori, tra brand e famiglie. E in questo interscambio continuo, l’empatia gioca un ruolo fondamentale.

Comprendere i bisogni, i desideri, le emozioni dei clienti non è solo una questione di marketing o di customer service. È una forma di intelligenza emotiva che può fare la differenza tra un’esperienza di acquisto frustrante e una gratificante, tra un cliente occasionale e un ambassador fedele. Su questo l’AI può sicuramente fare molto e molto farà.

Oggi siamo ancora agli inizi di questa evoluzione e l’intelligenza artificiale ci appare come un concetto vasto e indefinito, un territorio ancora in gran parte inesplorato. Tuttavia, così come oggi sarebbe impensabile parlare di internet come di un unicum indistinto, senza considerare le sue molteplici declinazioni – dal mobile banking ai social media, dall’e-commerce alle infinite altre applicazioni – allo stesso modo credo che nei prossimi mesi e anni assisteremo a una vera e propria esplosione di quella che oggi chiamiamo semplicemente “AI”.

L’intelligenza artificiale permeerà il mondo del business e la nostra vita quotidiana in modi che oggi fatichiamo anche solo a immaginare, assumendo forme e funzioni sempre nuove e sorprendenti. Essere testimoni e protagonisti di una di queste grandi rivoluzioni tecnologiche è un privilegio che capita poche volte nella storia: alla mia generazione è toccato di vivere l’avvento e la diffusione capillare di internet, un’esperienza entusiasmante che ha plasmato il nostro modo di vivere, lavorare, comunicare. Ora, con l’intelligenza artificiale, si prospetta un cambiamento altrettanto radicale e affascinante. Ed io non voglio perdermi nemmeno un momento di questo spettacolo straordinario.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe