Non è tutto oro ciò che luccica! Guida pratica per non farsi abbagliare dall'AI (#100)


SONG OF THE WEEK: Gold – Prince

L’altro giorno ero in una riunione con una grande azienda cliente. Il CEO si è alzato, ha battuto un pugno sul tavolo e ha esclamato: “Voglio l’AI ovunque! In ogni processo, in ogni reparto, in ogni prodotto!“. Silenzio tombale, qualche sguardo imbarazzato, e poi la domanda da un milione di euro: “Ma… esattamente, cosa deve fare questa AI?“. Altro silenzio.

Ti riconosci in questa situazione? Benvenuto nel club degli “AI-confusi“, persone ragionevoli che si trovano a navigare tra entusiasmo ingiustificato e paure apocalittiche. Dopo due anni di ChatGPT, Gemini e compagnia cantante, siamo ancora qui a cercare di capire quale sia la realtà dietro gli annunci roboanti e le promesse miracolose. È come quando ero bambino e mi vendevano quei giocattoli straordinari in TV che poi, una volta arrivati a casa, si rivelavano pezzi di plastica mediocri (… ah le auto Nikko)

Come orientarti in questo mare agitato, distinguendo le vere innovazioni dalle bolle di sapone destinate a scoppiare, evitando così di ritrovarti con le dita bruciate dopo aver toccato un fuoco d’artificio che sembrava una stella nascente?

Il grande spettacolo pirotecnico dell’AI

Partiamo da un fatto: l’80% di ciò che viene etichettato come “AI rivoluzionaria” è, nella migliore delle ipotesi, una funzionalità tradizionale con un po’ di luccichio aggiunto. Nella peggiore, è semplicemente marketing creativo condito con acronimi impressionanti.

L’AI è diventata ciò che il “cloud” era dieci anni fa e il “mobile” prima ancora: un termine talmente abusato da perdere quasi completamente significato. Ho visto startup vantarsi di usare “AI avanzata” quando in realtà utilizzavano semplici regole if-then con un po’ di statistiche di base. Un po’ come quando mia figlia#2 dice di aver “messo a posto la stanza” e ha semplicemente spinto tutto sotto il lettino.

E poi ci sono i “modelli proprietari” che promettono di superare GPT-4 e Claude, sviluppati da aziende con budget di R&D che sono una frazione di quelli di OpenAI o Anthropic. Seriamente? È come se il panettiere sotto casa mia sostenesse di aver superato la Ferrari nella progettazione di motori.

Non fraintendermi. L’intelligenza artificiale generativa rappresenta un avanzamento reale e significativo. Ma tra questa realtà e ciò che ci viene venduto c’è un abisso ampio quanto il Grand Canyon. E in quell’abisso si nascondono molti portafogli svuotati.

Il test della nonna: semplice ma efficace

Come distinguere le vere innovazioni AI dal fumo negli occhi? Ti propongo quello che chiamo “il test della nonna“: se non riesci a spiegare a tua nonna (con tutto il rispetto per le nonne tecnologicamente avanzate!) cosa rende il tuo prodotto AI diverso da un software tradizionale, probabilmente non c’è nulla di rivoluzionario.

E non è questione di semplificare per la nonna – è questione di chiarezza concettuale. Se la tecnologia risolve davvero un problema in modo fondamentalmente nuovo, dovresti essere in grado di articolarlo con semplicità. Einstein diceva che se non sai spiegare qualcosa in modo semplice, non l’hai capito abbastanza bene. E sospetto che molti venditori di soluzioni AI non abbiano capito abbastanza bene cosa stanno vendendo.

Esempi concreti? Eccoli:

  • Un “assistente AI per il marketing” che in realtà è solo un template con testi predefiniti? Fumo negli occhi, come la nebbia artificiale dei concerti rock.

  • Un sistema che analizza migliaia di conversazioni dei clienti e identifica pattern che nessun umano potrebbe notare? Scintilla genuina, capace di accendere vero valore.

  • Un “AI per la gestione delle risorse umane” che è solo un algoritmo di abbinamento basato su parole chiave? Fuochi d’artificio che impressionano ma durano poco, lasciandoti al buio e con le orecchie che fischiano.

  • Un LLM personalizzato che sintetizza documenti legali complessi e genera contratti su misura? Innovazione reale che può illuminare percorsi precedentemente oscuri.

La differenza sta nel problema risolto, non nell’etichetta applicata alla soluzione. Ricorda: un elefante dipinto da zebra resta sempre un elefante, per quanto eleganti siano le strisce.

Le tre domande salva-budget

Quando qualcuno ti propone una soluzione AI, fatti (e fai) queste tre domande, che si sono rivelate il mio paracadute d’emergenza in molte situazioni pericolose negli ultimi due anni:

  1. Quale problema specifico risolve? Se la risposta è vaga o troppo ampia (“rivoluziona il tuo business”, “trasforma la tua produttività”), accendi le sirene d’allarme. Le vere innovazioni rispondono a problemi concreti e ben definiti. Come diceva il mio vecchio professore di matematica al Liceo: “Un problema ben posto è già mezzo risolto“. E un problema mal posto è la porta d’ingresso per soluzioni inutili.

  2. Potresti ottenere lo stesso risultato con strumenti tradizionali? Spesso la risposta è sì, magari con un po’ più di lavoro. In questo caso, valuta se il premium di prezzo per l’etichetta “AI” è giustificato. Non pagare il prezzo di un Ferrari per quello che è essenzialmente una Fiat con un’aerodinamica migliore. L’AI dovrebbe offrire un salto qualitativo, non un miglioramento incrementale a costo esponenziale.

  3. Posso vedere esempi concreti e misurabili? Non accontentarti di demo preconfezionate. Chiedi casi d’uso reali, metriche, ROI. Chi ha davvero innovato sarà felice di mostrarti i numeri, non solo gli effetti speciali. Una volta ho chiesto a un venditore di mostrarmi un caso d’uso reale del suo strumento di “AI avanzata”. Ha sudato così tanto che abbiamo dovuto aprire le finestre. Non era un buon segno.

Bonus: chiedi di vedere come si comporta la soluzione di fronte a input imprevisti o “cattivi”. I sistemi AI robusti hanno meccanismi per gestire le anomalie. Quelli fragili crollano al primo stress test, come quel castello di carte che ho costruito la settimana scorsa per #figlia2.

L’effetto demo: perché le presentazioni sono sempre perfette

Ricordi Theranos? L’azienda di Elizabeth Holmes che prometteva di rivoluzionare le analisi del sangue con una tecnologia miracolosa? Sembrava tutto perfetto nelle demo… fino a quando non si è scoperto che era tutto un grande bluff, orchestrato con la precisione di un direttore d’orchestra.

L’AI sta vivendo il suo momento “Theranos”. Le demo sono sempre impeccabili, i casi d’uso presentati sempre ottimali, i risultati sempre sorprendenti. È facile rimanere abbagliati da una presentazione ben costruita – è il motivo per cui i trailer dei film sembrano tutti capolavori.

Ma quando si tratta di implementazione nel mondo reale, ecco che compaiono i problemi, come ospiti indesiderati a una festa:

  • Dati insufficienti o di scarsa qualità, che sono all’AI ciò che il carburante contaminato è per un’auto di Formula 1

  • Costi nascosti di integrazione e manutenzione che fanno sembrare il prezzo iniziale una mancia

  • Modelli che funzionano bene solo in condizioni ideali, come quei jeans che ti stanno perfetti solo quando sei a digiuno da tre giorni

  • Risultati inconsistenti e difficili da interpretare, che ti lasciano a chiederti se avresti ottenuto insight migliori lanciando una manciata di dadi

Una lezione che ho imparato a mie spese: chiedi sempre di testare la soluzione con i TUOI dati, non con dataset preconfezionati. La differenza può essere scioccante, come quando vedi la foto del ristorante online e poi entri nel locale reale. Ho visto modelli “rivoluzionari” crollare completamente quando alimentati con dati del mondo reale, sporchi e disordinati come … beh come nel mondo reale.

Più è potente, più è fragile?

C’è un aspetto controintuitivo dell’AI moderna che pochi venditori ti racconteranno, perché minerebbe il loro pitch: più un sistema è avanzato, più è vulnerabile a errori sottili ma significativi.

I modelli più sofisticati tendono di più ad “allucinare”, ovvero a inventare fatti e connessioni che sembrano plausibili ma sono completamente falsi.

Questo crea un paradosso: strumenti più potenti richiedono più supervisione umana, non meno. È contrario all’intuizione e alla narrativa dominante di “automazione completa”, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti.

Ricordo ancora quando un cliente ha implementato un chatbot AI per il supporto clienti senza adeguati controlli. Il risultato? Il bot ha iniziato a offrire sconti inesistenti e a promettere tempi di consegna impossibili, con la sicurezza di un venditore d’auto usate particolarmente convinto. Un disastro di public relations che è costato molto più del risparmio ottenuto automatizzando il supporto.

La lezione? L’AI ha bisogno di guardrail, come i bambini hanno bisogno di supervisione. Più è potente, più solidi devono essere questi guardrail. Non è un caso se sulla nostra bella Ferrari hai bisogno di freni migliori rispetto a quelli di una utilitaria.

Investire nell’AI: una strategia razionale

Nonostante tutti questi avvertimenti, sarebbe sciocco ignorare completamente l’AI. Sarebbe come rifiutarsi di usare internet negli anni ’90 perché c’erano troppi siti inutili. L’innovazione è reale, ma va approcciata con strategia e razionalità.

Ecco allora una proposta per un approccio equilibrato, frutto di qualche successo ma anche di qualche dolorosa scottatura:

  1. Inizia piccolo e misurabile. Identifica un problema specifico, ben definito, con metriche chiare. Fai un pilot limitato. È come imparare a nuotare: inizi nella parte bassa della piscina, non tuffandoti dall’alto. Troppo spesso ho visto aziende lanciarsi in trasformazioni AI su larga scala senza aver mai fatto un singolo progetto di successo.

  2. Costruisci competenze interne. Anche se usi soluzioni esterne, avere qualcuno internamente che capisce davvero come funziona l’AI è cruciale. Altrimenti sei come qualcuno che guida una macchina senza sapere come funzionano il volante. Quando qualcosa va storto – e qualcosa andrà storto – sarai completamente nelle mani di fornitori esterni.

  3. Pensa al ROI reale. L’AI non è magia: ha costi di implementazione, manutenzione e supervisione. Calcola il ritorno considerando tutti questi fattori, non solo il prezzo di licenza del software. Include anche il costo dell’energia (sì, l’AI consuma molta elettricità), della formazione del personale e della gestione del cambiamento.

  4. Ricorda che l’AI è uno strumento, non una strategia. Prima viene il problema da risolvere, poi la soluzione, non viceversa. Troppo spesso vedo aziende che cercano disperatamente casi d’uso per l’AI perché “dobbiamo fare qualcosa con l’AI”. È come comprare un martello e poi andare in giro per casa cercando chiodi da piantare.

  5. Preparati a fallire (in modo costruttivo). I progetti AI hanno un tasso di fallimento più alto della media. Pianifica considerando questo rischio. Crea spazio per l’apprendimento e l’iterazione. Come dico sempre alla mia squadra: “Fallire è accettabile. Non imparare dal fallimento è imperdonabile.”

Come dice il mio amico Marco, esperto di AI in una grande azienda tecnologica: “Un progetto AI di successo è fatto al 20% di tecnologia e all’80% di change management“. Non potrei essere più d’accordo. La tecnologia è la parte facile. Far cambiare alle persone il modo di lavorare è la vera sfida.

Tra entusiasmo e scetticismo

Non voglio che tu mi fraintenda. Credo profondamente nel potenziale trasformativo dell’AI. La uso ogni giorno e ha cambiato il modo in cui lavoro, scrivo e persino penso. Ma credo anche che il modo migliore per realizzare questo potenziale sia attraverso un sano scetticismo e un approccio pratico, non inseguendo ogni nuova moda etichettata come “rivoluzionaria”.

L’AI può essere una scintilla che accende il fuoco dell’innovazione nella tua azienda, o un fuoco d’artificio che abbaglia per un momento ma lascia solo fumo e un leggero ronzio nelle orecchie. La differenza sta nella tua capacità di distinguere la sostanza dall’apparenza, le soluzioni reali dal marketing creativo.

Forse il mio scetticismo deriva dall’essere sopravvissuto a troppe “rivoluzioni tecnologiche” che promettevano di cambiare tutto e hanno cambiato poco. O forse deriva dall’aver visto troppe aziende bruciare budget significativi su tecnologie scintillanti ma prive di sostanza.

Ma i problemi reali della tua azienda rimarranno, aspettando soluzioni concrete e non miracolose. Cerca partner, non venditori. Cerca soluzioni, non magia.

L’AI è come il fuoco: un ottimo servitore ma un terribile padrone. Usala con saggezza, mantieni una sana dose di scetticismo, e potresti scoprire che dietro l’hype c’è effettivamente qualcosa di rivoluzionario. Ma sta a te separare la moneta di valore, da quella falsa.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe