Capelli (#18)


La migliore strategia per gestire qualcosa che non è sotto il nostro controllo è … farla diventare parte della nostra narrativa. E metterla in primo piano!

Quella appena trascorsa è stata una settimana di lavoro super ricca e stimolante; riunioni e incontri di strategia per pianificare i prossimi mesi e tante novità in arrivo.
In contesti simili, inevitabilmente, si arriva a discutere anche dei cosiddetti “fact of life” ovvero di quei fattori del mondo esterno che non possiamo controllare. Che si tratti delle condizioni di un mercato che cambiano, della guerra in Ucraina o di una pandemia, questi fattori devono essere compresi e gestiti da una azienda. Perchè?

Il motivo è semplice; come mi ha raccontato Prof. Jesper Sorensen il primo giorno a Stanford qualche anno fa, la performance di un’azienda è funzione di due fattori.

Performance = f(strategy, ɛ)

Strategy: ovvero la parte che ogni azienda può ambire a controllare e dirigere e che si traduce in quanto valore creiamo e quanto valore siamo capaci di catturare (e si son due cose diverse… ma ne parliamo un’altra volta).
ɛ: ovvero… tutto il resto.

Ok, bello, ma cosa c’entra questo con il titolo della newsletter?

“Io vivo sempre insieme ai miei capelli”

Una delle attività che adoro fare con figlia #2 è … pettinarla. Sì, avete capito bene, io, uomo senza capelli, adoro pettinare la mia bimba piccola! Succedeva anche con Figlia #1 che ovviamente mi prende in giro su questo come su altro (il fatto che quando riemergo dalla piscina ancora oggi mi scosto l’acqua dalla testa come se avessi una folta chioma sembra molto divertente per lei…). Ah, le gioie della paternità!

Da quando mi ricordo i capelli sono sempre stati una delle caratteristiche distintive di chi sono e di come mi rappresento. Mio padre mi portava a da un barbiere molto “classico”, che si chiamava Benito … Mi torna in mente quando a 10 anni i due concordarono per farmi fare un taglio in stile Marines… Qualche anno dopo, dolce vendetta, andai da Benito con una foto di John Taylor con il ciuffo biondo …
Durante l’adolescenza e l’università, i miei capelli sono diventati una parte fondamentale della mia identità e anche delle mie strategie di ingaggio con l’altro sesso; lunghi ricci e ribelli!

Ma non poteva durare.

ɛ! Non tutto si può controllare

All’inizio è stato graduale e conseguentemente anche io cercavo delle “tattiche” di contenimento; tagliare i capelli corti, evitare i contesti ventosi (sigh); ma poi verso i quarant’anni la situazione è diventata davvero ingestibile. La cosa assurda è che ricordo un senso di ansia e di insicurezza collegato a come pensavo gli altri mi vedessero. Ed in parte è comprensibile: quando inizi a perdere i capelli inevitabilmente ti focalizzi su questa cosa. E’ una perdita che rappresenta un segno tangibile del trascorrere del tempo e del fatto che non sei più giovane o vitale come a 20 anni. E la parte più difficile? Non puoi fare nulla per fermarla; è completamente fuori dal tuo controllo. E’ ɛ!

Così, da un giorno all’altro, via tutto. Rasato.

Quello che ho scoperto da subito è stato rivelatore; in primo luogo essere rasato è la cosa più comoda che possa esistere. Niente shampoo, niente code dal barbiere; ogni mattina cinque minuti di BZZZZZZ e sei pronto. WOW!
Ma soprattutto … agli altri non gliene poteva fregare di meno! L’attenzione che io mettevo su questa cosa era mille volte superiore a quella, complessiva, di chiunque altro mi fosse vicino. E così, come prima i capelli erano parte centrale di come mi rappresentavo nel mondo, ho reso la mia “pelata” parte della mia narrativa.

Voglio essere chiaro, se potessi scegliere vorrei tutta la vita avere una chioma folta, nessun dubbio. Ma questa roba non è sotto il mio controllo; è uno di quei “fact of life” che devo accettare. E di sicuro se non posso avere una chioma folta, non voglio restare nel mezzo, via tutto!

Una nuova “narrativa”

Nel lavoro di tutti i giorni così come nelle strategie di lungo periodo ci sono cose che possiamo controllare e altre che, per quanto ci sforziamo, sfuggono alle nostre mani. È un po’ come per i miei capelli, o meglio, la loro assenza. In un mondo in cui le performance aziendali sono influenzate in modo determinante da variabili che non sono in alcun modo controllabili come affrontiamo questi “fact of life“? Alla fine le opzioni che abbiamo a disposizione sono solo 3.

  1. Testa sotto la sabbia – Potremmo scegliere di ignorare la realtà, sperando che scompaia da sola. E potrebbe sembrare anche una scelta vincente; vai avanti con il tuo lavoro e la tua strategia. Ma, come ho imparato con i miei capelli, negare l’evidenza non cambia la situazione. “Se solo non ci fosse questo problema”, ci diciamo. Ma il problema c’è, e non affrontarlo non fa altro che peggiorare le cose e ritardare una possibile soluzione. L’impatto con la realtà prima o poi arriva e “poi” fa più male.

  2. Negare l’evidenza – Ah, l’arte di mascherare! Quante energie sprecate a cercare di nascondere ciò che ci rende insicuri o crea ansia. Ma, come quando cercavo di coprire le mie zone di diradamento con pettinature improbabili, alla fine ci si rende conto che è solo una perdita di tempo e di energie. Per di più su cose che per i nostri clienti, o i nostri dipendenti, le persone che ci vogliono bene… non hanno valore.

  3. Cambiare narrativa – Questa è la chiave. Prendere ciò che non possiamo cambiare e trasformarlo in una forza. Come quegli alberi che crescono nonostante il muretto accanto al tronco o il marciapiede vicino alle radici; trovando un modo. Ho rasato la testa e, in un certo senso, mi sono liberato. Ho trasformato una mia insicurezza in un tratto distintivo, in una parte di me. E, sorprendentemente, la gente ha risposto in modo positivo.

Nella vita come nel business, dobbiamo imparare ad accettare e adattarci ai “fact of life“; sono li e fanno parte della nostra realtà. E’ vero, non possiamo controllare tutto, ma possiamo scegliere come reagire. E questo fa la differenza tra l’indirizzare le nostre risorse e le nostre energie nella direzione giusta o meno.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe