Elogio delle riunioni che iniziano in ritardo (#83)


SONG OF THE WEEK: The Work Pt.1 di Prince

“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi.” È una frase di Cesare Pavese che mi ha sempre colpito molto e mi pare super vera, tanto nella vita quanto nel lavoro. Ogni decisione che prendiamo, ogni rischio che affrontiamo, si colloca in un momento unico, un istante che separa il “prima” dal “dopo.”

La citazione mi è tornata in mente l’altro giorno; ero in ritardo per una riunione importante e mentre correvo verso la sala meeting, mi sono trovato a riflettere su come, negli ultimi anni, siamo diventati ossessionati dalla puntualità delle riunioni, forse per colpa del covid e del trasferimento di buona parte di queste riunioni online. “La riunione inizia in orario e finisce in orario” è diventato quasi un mantra aziendale. Un segno di efficienza. Di professionalità. Addirittura di rispetto.

Ma è davvero così? O forse stiamo perdendo qualcosa di prezioso in questa corsa all’efficienza perfetta?

Le conversazioni “inutili”

Prima del Covid, quando arrivavo in anticipo a una riunione, c’era sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Si parlava del weekend, dei figli, di quel progetto interessante che stava nascendo in un altro dipartimento. Quelle conversazioni “inutili” erano in realtà il tessuto connettivo dell’azienda. Era lì che nascevano idee, si creavano alleanze, si costruiva quella fiducia che poi rendeva tutto più fluido. Certo c’era anche la macchinetta del caffè (per chi lo prende) o la sigaretta (per chi fuma), ma quello spazio unico prima o dopo una riunione in presenza … quello era davvero #priceless.

Oggi, con le riunioni online che iniziano al secondo esatto, abbiamo guadagnato in efficienza, ma perso in connessione umana. Siamo diventati più produttivi, forse, ma anche più isolati. C’è questa convinzione diffusa che ogni minuto “non produttivo” sia un minuto sprecato. Ma è davvero così?

Efficienza Vs. Efficacia

Quelle chiacchiere prima di una riunione, quei cinque minuti di “come stai?” che sembrano far perdere tempo, sono in realtà momenti preziosi. È in quegli spazi apparentemente improduttivi che:

  • Si costruisce la fiducia tra colleghi – quando Marco mi raccontò dei problemi con suo figlio adolescente, si creò un legame che ha reso più facile affrontare insieme le successive crisi di progetto

  • Nascono idee innovative da conversazioni casuali – il nostro prodotto più venduto è nato da una chiacchiera in corridoio tra il team marketing e quello tecnico

  • Si crea il senso di appartenenza – le persone non appartengono a organigrammi, appartengono a storie condivise e momenti vissuti insieme

  • Si sviluppa l’intelligenza emotiva organizzativa – capire che un collega sta attraversando un momento difficile ti permette di calibrare meglio approccio e richieste

  • Si mantiene vivo il tessuto sociale dell’azienda – sono questi momenti che trasformano un gruppo di professionisti in una vera squadra

L’efficienza misura quanto velocemente e precisamente completiamo un compito, è vero. Ma l’efficacia, quella vera, misura quanto quel compito contribuisce realmente al nostro obiettivo più ampio. E qual è l’obiettivo più ampio di un’organizzazione se non creare valore attraverso le persone?

Insomma, una riunione che inizia perfettamente in orario, ma dove le persone sono disconnesse emotivamente è davvero più produttiva di una che inizia con qualche minuto di ritardo ma dove le persone si sentono davvero parte di un team? La risposta, per quella che è la mia piccola esperienza, è decisamente NO.

Come ricostruire

Allora cosa possiamo fare concretamente per evitare di perdere questo tesoro “relazionale”? Probabilmente quello che dobbiamo fare è trovare un nuovo equilibrio, più umano e paradossalmente più produttivo. Ecco alcune idee che ho visto funzionare nella mia piccola esperienza:

  1. Pianificare deliberatamente spazi di socializzazione prima delle riunioni importanti. In uno dei team con cui collaboro abbiamo iniziato a programmare le riunioni di 45 minuti invece di un’ora, ma chiediamo a tutti di essere disponibili per l’ora intera. Quei 15 minuti di margine sono diventati il momento più prezioso della giornata.

  2. Creare momenti di “caffè virtuale” non strutturati. E qui devo dare ragione a mia moglie che ha iniziato a fissare questi momenti nella sua azienda fin dal primo lockdown. Ogni settimana una sala virtuale sempre aperta; chi vuole si connette, prende un caffè e chiacchiera. Nessuna agenda, nessun obbligo. All’inizio mi sembrava una perdita di tempo, ora mi è chiaro che può essere il momento in cui nascono le idee migliori.

  3. Riconoscere e valorizzare l’importanza delle conversazioni informali. Negli ultimi tempi ho iniziato a chiedere nei one-to-one con il mio team non solo “cosa hai fatto questa settimana?” ma anche “con chi hai parlato? Quali conversazioni interessanti hai avuto?”. È incredibile quante informazioni preziose emergono.

  4. Misurare non solo l’efficienza ma anche la qualità delle connessioni. In una delle startup con le quali collaboro abbiamo inserito nei KPI trimestrali anche indicatori sulla qualità delle relazioni. Sembra difficile da misurare? Lo è, ma non per questo è meno importante. Le interazioni orizzontali sono un segno di ricchezza e vanno monitorate e stimolate quanto più possibile.

  5. Proteggere i momenti di “inefficienza produttiva”. Ho imparato a difendere questi spazi quando qualcuno cerca di eliminarli in nome dell’efficienza. Come diceva il mio primo capo ormai più di vent’anni fa: “L’efficienza è fare le cose bene, l’efficacia è fare le cose giuste“.

Il vero paradosso è che, nel lungo termine, un’organizzazione che permette e incoraggia questi momenti di apparente ‘inefficienza produttiva‘ si rivela molto più efficace di una che cerca di ottimizzare ogni singolo minuto. L’ho visto accadere più volte: i team che si prendono il tempo per costruire relazioni sono anche quelli che poi corrono più veloce quando serve davvero.

La “riunione” della buonanotte

Lo confesso; l’altra sera stavo cercando di ottimizzare la routine serale di #figlia2. La moglie era a cena con le amiche e io avevo creato una sequenza perfetta: doccia, pigiama, denti, storia della buonanotte per poi essere libero di vedere la mia serie preferita.

Tutto calcolato al minuto. Lei, con i suoi due anni e mezzo, non diceva nulla ma continuava a portarmi gli stessi libri da leggere, ancora e ancora. “Papà, cota” (ancora), ripeteva ogni volta che finivo una storia, con quel suo modo buffo di parlare. Io guardavo l’orologio, pensando a quanto tempo stessimo “perdendo”.

Mi sono fermato di colpo quando ho realizzato che stavo cercando di ottimizzare proprio quei momenti che invece andrebbero solo vissuti. Il suo sorriso mentre riconosceva i personaggi delle storie, il suo ditino che indicava i dettagli delle figure, il suo corpo che si rannicchiava contro di me ad ogni pagina… non erano “inefficienze” da eliminare, erano il cuore stesso di quel momento.

Se ci ripenso ora vedo tutte le volte che ho cercato di “ottimizzare” situazioni che in realtà avevano bisogno solo di essere vissute. Tutte le volte che ho confuso l’efficienza con l’efficacia. Tutte le volte che ho dimenticato che le relazioni, come le storie della buonanotte ripetute all’infinito con una bimba di due anni, non possono essere ottimizzate. Possono solo essere vissute. È quello che ci fa ricordare gli attimi.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe