Il paradosso della leadership (#51)


Immagina di dover descrivere le caratteristiche di un leader di successo. Probabilmente, la prima immagine che ti verrebbe in mente sarebbe quella di una persona sempre sicura di sé, con tutte le risposte pronte, capace di guidare il proprio team in ogni situazione. Un leader carismatico, determinato, quasi infallibile. Sembra il ritratto perfetto, vero? Questa idea di leadership come di una figura forte, decisa, sempre in controllo è sicuramente molto radicata, ma quanto è realistica?

E se ti dicessi invece che il vero segreto di un grande leader, di qualcuno cioè capace di indirizzare e influenzare, è proprio l’opposto? E cioè che la chiave non è nel comandare, ma nel servire?

Reality Check!

Ora prova a pensare a qualcuno che ha lasciato un segno indelebile nella tua vita. Ok inizio io visto che la newsletter è mia. Per me è facile identificare con nome e cognome persone che rientrano in questo identikit: penso al Prof. Alberto Marinelli con il quale mi sono laureato ormai quasi un quarto di secolo fa e che mi ha dato fiducia permettendomi di iniziare un percorso che che poi è diventato il mio lavoro fino ad oggi.

Ma penso anche al mitico Peter de Sury, mio primo coach di Crossfit; le sessioni con lui erano un massacro si, ma bellissimo e ricco di storie e aneddoti. Ma se torno ancora più indietro penso alla mia professoressa di Filosofia del liceo, la mitica Daniela Papitto; mai preso buoni voti, e ricordo rari sorrisi, ma riusciva ad appassionarmi e a stimolare un pensiero critico che credo, senza di lei, non avrei sviluppato.

Mi rendo conto oggi che ciò che ha reso speciali nella mia vita queste persone, e molte altre, non era il loro titolo o la loro autorità, ma la loro generosità.

Credo cioè che un vero leader non debba preoccuparsi di dimostrare di essere il migliore o il più intelligente, ma piuttosto il suo obiettivo è quello di far crescere e fiorire le persone intorno a sé. Di creare un ambiente in cui tutti si sentano valorizzati, supportati, liberi di esprimere il proprio potenziale.

Un approccio che mette gli altri al centro, che vede il successo come un traguardo collettivo, non individuale. Un approccio che richiede umiltà, empatia, coraggio di essere … anche vulnerabili.

Si tratta di un esercizio continuo certo, ma da dove partire? Credo ci siano tre azioni chiave per nutrire una capacità di leadership come quella descritta e sono:

  • fare pace con il passato;

  • accettare i propri limiti;

  • ridefinire il successo.

1. Fare pace con il passato

Ognuno di noi ha una storia unica e irripetibile, fatta di successi, certo, ma anche di fallimenti e momenti difficili da accettare e da condividere. Se non riusciamo però ha superare la memoria di questi momenti più critici che abbiamo vissuto in passato rischieremo sempre di cercare una qualche forma di compensazione. Saremo sempre alla ricerca di un modo per pareggiare i conti, senza avere la necessaria lucidità per guardare in modo sano a quello che succede oggi intorno a noi.

Come quel leader che, promosso a capo di un team in un settore che non conosceva bene, ha ammesso onestamente di avere molto da imparare dai suoi collaboratori. O come quell’imprenditore che, dopo aver lottato con la depressione per il fallimento della sua startup, ha trovato il coraggio di chiedere aiuto.

Ci vuole fegato, certo, ma anche l’intelligenza di comprendere che, come diceva un mio vecchio collega, direttore creativo “you are as good as your last layout”.

Fare pace con il passato significa abbracciare tutto ciò che ci ha reso ciò che siamo oggi ed è in fondo anche una liberazione (by the way, buona festa in ritardo a voi); qualunque cosa accada domani, possiamo sempre ripartire da zero!

2. Accettare i propri limiti

I veri leader, come quelli che ho citato poco fa, non hanno avuto paura di mostrare la propria umanità o di ammettere le proprie lotte, le proprie paure, le proprie incertezze. Perché sanno che la vulnerabilità non è una debolezza, ma una forza.

Pensate a quei momenti in cui un leader vi ha toccato il cuore. Magari condividendo una storia personale di fallimento o di resilienza. O mostrando genuine emozioni di fronte a una sfida o a un traguardo. In quei momenti, non vi siete sentiti più ispirati a seguirli?

Perché quando un leader abbraccia la propria vulnerabilità, crea uno spazio per noi per fare lo stesso e promette/permette agli altri di sentirsi compresi, accettati, valorizzati nella loro interezza.

Un leader che ammette i propri limiti, che chiede aiuto quando serve, che si circonda di persone che compensano le sue debolezze, è un leader che ispira fiducia e lealtà.

3. Ridefinire il successo

Un paio di anni fa mi son trovato, per motivi di lavoro, ad avere una lunga chiacchierata con il partner di una importante società di consulenza globale. E lui mi raccontava quale era il suo principale motivo di frustrazione; diceva, provo a citare a memoria “come fai a lavorare bene quando i giovani che assumi non sono più interessati ad avere una Porsche, o un conto in banca a 6 zeri?

Ecco, non sono un un ingenuo; so bene di vivere in un mondo ossessionato dai risultati a breve termine e dai bilanci trimestrali, ma credo che se si vuole costruire qualcosa destinato a durare nel tempo, sia fondamentale anche guardare oltre e soprattutto ridefinire le metriche di quello che chiamiamo successo. I veri leader, sospetto, misurano il proprio successo secondo indicatori e criteri diversi dal semplice profitto.

Lo vedono come un percorso di miglioramento e impegno costante continuando a sforzarsi giorno per giorno, focalizzandosi sul progresso e sul trend positivo più che sui traguardi numerici assoluti.

Questi leader sanno che l’impatto, sulle persone e non solo, è il vero dividendo. Che lasciare il mondo un po’ migliore di come l’hanno trovato è la più grande soddisfazione. E per questo ispirano altri a seguire il loro esempio, usando anche il business come una forza per il cambiamento.

Insomma, alla fine, sembra proprio che il vero scopo della leadership non sia il potere o il successo fine a se stesso. Ma piuttosto quello di elevare e ispirare gli altri a diventare la miglior versione di sé. È lasciare un’eredità di cui essere fieri.

Sempre avanti, condannati all’ottimismo!

Giuseppe